Gli schiavetti

Non riesco a dedicare alla Bibbia tutto il tempo che vorrei dedicarle: il tempo che le dedica ad esempio Giampietro Rampini. Ma lui fa il ceramista (ed eccelle in quell’arte, novello Oderisi), lui lavora con le mani, e può ascoltare le splendide lezioni di Fernando Armellini su Paolo di Tarso, o di Paolo Curtaz, prete di Aosta ridotto dal suo vescovo allo stato laicale con preghiera di dedicarsi allo studio e alla diffusione della Bibbia: ed egli lo fa con profondità e passione straordinarie.

Quando ci incontriamo, cioè molto spesso, Giampietro ha sempre qualche novità da dirmi in tema di interpretazione della Scrittura.

L’ultima è strepitosa, e riguarda l’affermazione che Gesù rivolse ai suoi quando disse loro: “Se non diventate come bambini, non entrate nel regno dei cieli”.

L’attenzione va tutta a quella parola, “bambini”. L’ebraico è una lingua polisemica, per forza di cose: disponendo solo di 8.000 vocaboli, contro i nostri 40.000, è logico che una stessa parola abbia più significati; classico il caso dei “fratelli” e delle “sorelle” di Gesù: uno stesso vocabolo indica i fratelli, i cugini, i parenti. E così la parola da cui il traduttore greco ha tirato fuori il termine paidìa vuol dire, sì, “bambini”, ma anche “schiavetti”.

In una casa nobile e ricca c’erano gli schiavi di prima categoria, una specie di sovrintendenti a responsabilità limitata: quello addetto ai rifornimenti alimentari, quello addetto alla manutenzione ordinaria, quello addetto alla custodia del gineceo (quest’ultimo – ahimè! – veniva castrato, come elementare misura di sicurezza).

E poi c’era la turba degli “schiavetti”, che non avevano compiti prefissati, ma dovevano essere sempre pronti a scattare. A loro gli ordini venivano comunicati o con imperativi secchi, senza alcuna motivazione, o più spesso con dei robusti calci nel sedere: “Scaaattaareee!”.

A me sembra evidente che, nel contesto evangelico, paidìa si riferisca non ai “bambini” (la Plasmon è in agguato) ma a questi “schiavetti”, coerentemente con il programma di Colui che si era presentato come uno che era venuto non per essere servito, ma per servire (= a mettersi dalla parte degli schiavi) e a dare la sua vita, che vuol dire anche (ma non solo) “morire”, ma – prima ancora – a mettere ogni istante della propria vita a disposizione di tutti, che sono una moltitudine.

Vuoi vedere che sul registro che ci riguarda e che l’Angelo dalla Misericordiosa Giustizia conserva e aggiorna giorno dopo giorno, prima dei rosari che abbiano detto, prima delle liturgie cui abbiamo partecipato, ci sono segnati i calci nel sedere che abbiamo preso per amore di Dio, o per amore dell’Uomo, che poi è la stessa cosa?

AUTORE: Angelo M. Fanucci