Il 20 luglio il Governo ha definito i criteri per la ristrutturazione delle Province italiane. Non dovranno avere meno di 350.000 abitanti e meno di 2.500 chilometri quadrati. Quelle che non raggiungono questi parametri si dovranno riaccorpare fra loro. In Umbria la Provincia di Perugia li supera largamente; quella di Terni nessuno dei due. Ma Terni si può accorpare solo con Perugia (non sono previsti cambiamenti nei confini delle Regioni) e quindi vi sarebbe una Provincia unica, di fatto coincidente con la Regione, e quindi destinata a sparire come ente autonomo. In teoria potrebbero esservi ancora due Province in Umbria, a condizione che quella di Perugia cedesse una parte di territorio e di popolazione all’altra: ma sarebbe disposta a farlo? Il Presidente della Provincia di Perugia ha prontamente preso posizione contro la soppressione della Provincia di Terni, ma non credo che accetterebbe una mutilazione. Del resto, quando la Provincia di Perugia è nata nel 1860 comprendeva anche le attuali Province di Terni e di Rieti, e le comunicazioni erano ben peggiori di adesso. Inoltre in varie regioni del Nord vi sono Province (per esempio Brescia e Verona) assai più grandi dell’intera Umbria. Quindi l’unificazione non sarebbe una tragedia. Semmai ci si può chiedere, in termini generali, quanto giovi questo riordinamento delle Province, visto che lo scopo dichiarato è quello di tagliare i costi improduttivi. In realtà, se si sopprime una Provincia, il solo vero risparmio è quello degli organi di governo elettivi (Presidente, Consiglio, Giunta); risparmio piuttosto modesto, perché il costo di un Consiglio provinciale è più o meno lo stesso di un Consiglio comunale di una città di medie dimensioni (tipo Foligno o Spoleto). Pesano molto di più, nel bilancio di una Provincia, gli uffici amministrativi, i servizi, il personale, ecc.; ma questi resterebbero tutti, sia pure passando sotto le bandiere della Regione o dei Comuni. E non solo perché i dipendenti non possono essere licenziati, ma perché qualcuno dovrà pure svolgere quelle funzioni. Una volta di più, si vede che i tagli alla spesa pubblica sono sacrosanti (e comunque obbligati, perché non ci sono più soldi) ma lo strumento dovrebbe essere il bisturi e non la scure.
Tagliare? Sì, ma non con la scure
AUTORE:
Pier Giorgio Lignani