Un fiume di magliette verdi quest’anno ha invaso le sale degli oratori parrocchiali: sono loro il motore dell’attività educativa proposta ai più piccoli. Sono giovani tra 16-18 anni coordinati dai responsabili educativi della parrocchia, che regalano il loro tempo a colorare di speranza l’estate dei più piccoli. Sono più di 2.000, tutti volontari; la maggior parte di loro ha frequentato nell’ultimo anno un percorso formativo che li rende abili alle responsabilità e all’animaizione del tempo informale dei bambini.
La scelta dell’animazione è la scelta educativa che gli oratori da sempre mettono in campo: non si “fa” l’animatore, ma si cerca di “essere” animatori per animare la vita di chi il Signore mette nella propria storia, educare presuppone una profonda presa di coscienza dell’importanza di questo ruolo, presuppone la consapevolezza che l’animazione sia, appunto, stile di vita, testimonianza permanente, bussola nelle scelte anche personali.
La scelta di essere animatori coinvolge l’animo e la personalità dell’animatore a 360 gradi, rimodellandone i comportamenti e le abitudini. Anche per questo, la scelta dell’animazione va interpretata come una scelta di servizio, di missione e non di volontariato. I giovani sono chiamati non ad un impegno saltuario o temporaneo, ma lo scegliere di diventare animatori è totalizzante e coinvolge ogni manifestazione dell’essere.
L’iter formativo
Per questo, prima di decidere di essere animatori, non ci si può sottrarre da un periodo nel quale scoprire innanzitutto quali persone si è e come si vuole costruire la propria vita. L’essere animatore è una vera e propria vocazione all’amore fraterno. Solo in un percorso di formazione si può comprendere la propria vocazione e acquistare il coraggio del dono di sé agli altri. Mettere in moto l’anima dei ragazzi è, dunque, una scelta impegnativa, che va vissuta con responsabilità e preparazione perché un animatore è punto di riferimento per i propri ragazzi, esempio e testimone di vita cristiana.
In questo arduo compito, non si può non partire proprio dai veri protagonisti di questo affascinante percorso: i ragazzi. Per animare bisogna comprendere e conoscere proprio quello che gli interessa e piace fare, senza però perdere di vista il valore educativo di ogni cosa che si fa con loro. Animare significa non smettere mai di animare innanzitutto se stessi, spendendosi senza mai risparmiarsi, donandosi senza mai attendersi nulla in cambio, vivendo la propria vita fino in fondo da protagonisti.
L’animatore non si stanca di prendersi cura dei ragazzi che il Signore gli affida, non si stancherà mai di volergli bene, stimarli, valorizzarli, perché “prendersi cura – come ci diceva don Lorenzo Milani – significa soprattutto saper ascoltare le parole, i gesti e i silenzi dei ragazzi, significa interessarsi a loro e farsi trovare pronti nei momenti più delicati della loro vita”.
La comunità educante
In questo compito, l’animatore non deve mai sentirsi solo, ma parte integrante di una comunità educante che decide di dedicarsi con perseveranza e dedizione all’educazione dei “propri figli”: altri animatori, responsabili, amici, padre spirituale, parroco, famiglie, tutte figure che insieme cercano di perseguire i medesimi obiettivi.
Di questo team fanno parte anche gli stessi ragazzi che presto si trasformeranno nei nostri più grandi maestri, ci insegneranno a comprenderli e ad entrare in empatia con il loro mondo, ci insegneranno a vivere la nostra scelta con una gioia piena che sa di santità. Poiché, in fin dei conti, animare significa testimoniare ciò che nella propria vita è importante, ciò che si è incontrato, ovvero l’incontro con l’amore di Cristo.
Tuttavia non si è animatori credibili solo se si ha avuto il dono di vedere Gesù, ma lo si è, se si ha il coraggio di impegnarsi realmente nella ricerca del suo amore, anche quando questa ricerca dura tutta la vita. Le 2.000 magliette verdi umbre cercano di vivere tutto questo, facendo esperienza, nel periodo più complesso dell’adolescenza, che oltre alle proposte “normali” ci sono proposte controcorrente, gratuite, uniche. Non è questo forse motivo di speranze per l’Umbria? Non è questo un segno tangibile di una Chiesa viva e luminosa? Non è questa una storia in cui continuare a scommettere energie e risorse?