Mentre il Corpo di polizia penitenziaria celebrava, mercoledì scorso a Terni, il 195° anniversario della fondazione, poco più in là le otto sigle sindacali di rappresentanza delle stesse guardie manifestavano pacificamente per denunciare la ormai cronica insufficienza di guardie nelle carceri. Una situazione sempre più insostenibile a causa del sovraffollamento delle celle e dell’impegno massacrante richiesto ai “secondini”. Ma anche a causa dei tagli ai progetti formativi organizzati nelle carceri, che invece rappresentano un valido strumento di reintegrazione sociale, come dimostra l’iniziativa organizzata giovedì 14 giugno a Perugia.
Procediamo con ordine. In Umbria “a fronte di 1.700 detenuti, ci sono soltanto 800 poliziotti, quando ne sarebbero previsti 1.060” denunciano i sindacati. Per la precisione, al 15 maggio scorso erano detenute in totale 1.708 persone, di cui 100 appartenenti al circuito detentivo del 41-bis, 248 al circuito dell’alta sicurezza, 1.246 appartenenti alla media sicurezza e 134 detenuti protetti.
Il lavoro non manca, in carceri sempre più affollate e per questo sempre più insicure, tanto per i detenuti quanto per chi ci lavora: le guardie, appunto. Tanto che il consigliere nazionale del sindacato Sappe Aldo Di Giacomo, a Terni, è allo sciopero della fame “per sensibilizzare il mondo politico, che ha causato questa situazione, e spingerlo a fare delle vere riforme strutturali, come quelle che prevedono la depenalizzazione, la decarcerizzazione, il ricorso alle misure alternative”.
A peggiorare la situazione, sono stati tagliati anche i fondi per i progetti all’interno del carcere, che rappresentano il migliore investimento in termini di sicurezza e contro il sovraffollamento. Ne sono un esempio i (pochi) corsi di formazione al lavoro che ancora vengono fatti, come quello della cooperativa “Frontiera lavoro” i cui risultati sono stati presentati il 14 giugno al “Caffè di Perugia”.
Si è trattato di una cena speciale, avente come protagoniste le detenute della casa circondariale di Perugia impegnate – insieme agli chef Andrea Sposini e Azzurra Nucciarelli – nella preparazione di una cena a base dei prodotti dell’azienda agricola “podere Capanne”. Le detenute, dopo un corso di formazione professionale della durata di 200 ore, sono riuscite ad acquisire un bagaglio di esperienze che si è tradotto in un inserimento lavorativo presso ristoranti del territorio perugino. A consentirlo è l’art. 21 dell’Ordinamento penitenziario che consente il lavoro all’esterno del carcere, con il rientro alla sera.
Le detenute hanno partecipato al progetto “Riuscire: riqualificarsi per riuscire in un inserimento regolare”, promosso e finanziato da Provincia, Frontiera Lavoro soc. coop. sociale, Università dei sapori. “Ora – dice Albina, 30 anni, russa – voglio riprendere la mia vita e continuare, qui in Italia, a lavorare in pasticceria”.