Nel 2012 il dato della disoccupazione in Italia tornerà a salire. A dirlo è il recente rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). L’ente prevede infatti che, dopo un calo quest’anno all’8,1 per cento dall’8,4 per cento del 2010, il prossimo anno la disoccupazione nella Penisola tornerà a salire fino all’8,3 per cento. Prima di perdere definitivamente il lavoro e diventare disoccupati, però, molti lavoratori si vedono ridurre o sospendere l’attività lavorativa entrando così a far parte della categoria dei cassintegrati. È questo il caso di Simone, 36 anni e padre di famiglia, che dopo otto anni di lavoro nella stessa azienda si è ritrovato in cassa integrazione nel giro di 48 ore. “All’improvviso mentre ero a lavoro – racconta – mi sono visto recapitare dall’azienda una lettera dove venivo informato di essere uno tra i 30 degli 80 dipendenti messi in cassa integrazione”.
L’azienda ti ha spiegato le motivazioni di questa disposizione?
“L’amministratore dell’impresa mi ha detto che ad essere state sottoposte a questo provvedimento erano state quelle persone più qualificate professionalmente e con una maggiore anzianità, quelle che avrebbero potuto ritrovare subito lavoro in Umbria e vivere con lo stipendio da cassa integrato meglio di altre. Dopo aver risposto che questo non valeva per me in quanto ho moglie e figli a carico, non mi è rimasto altro da fare che prendere le mie cose e andarmene da quello che ormai non era più il mio luogo di lavoro. Tornare a casa e dover dare la notizia in famiglia, come si può immaginare, non è stato facile; in quel momento il carico psicologico era piuttosto pesante”.
Ti sei mai chiesto se questa situazione fosse stata causata da una qualche tua mancanza o per qualche tua colpa?
“I primissimi giorni che trascorrevo a casa dalla mattina alla sera li vedevo un po’ come un periodo di ferie, poi, passando il tempo, ho iniziato ad accusare la pesantezza di trovarmi forzatamente con le mani in mano, e allora ho iniziato a farmi delle domande. Mi chiedevo se avessi sbagliato in qualcosa pur avendo ricevuto – durante il corso della mia carriera – lettere di encomio e premi aziendali. Preso da dubbi e insicurezze, ho iniziato così ad avvertire una sensazione di malessere che il medico di base mi ha detto derivare dallo stress dovuto alle circostanze, e che andando avanti sarebbe potuto degenerare in depressione: fortunatamente non è successo, qualche hobby e qualche interesse mi hanno salvato”.
In questa situazione tragica però sei, tra virgolette, un privilegiato perché recepisci un reddito sostitutivo alla retribuzione che ti permette di sopravvivere.
“Vero. Grazie ad un sistema di tutela del reddito – stabilito dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali in sinergia con le Regioni a favore di coloro che hanno perso il lavoro (o sono in procinto di perderlo) – ricevo, pur non lavorando, l’80% della paga base prevista dal mio contratto di lavoro. Partecipo inoltre a corsi di riqualificazione professionale che, tarati sul ventaglio delle offerte lavorative del territorio, servono ai cassintegrati ad avere una carta in più da spendere nel mondo del lavoro, oggi molto compromesso”.
In questo periodo di crisi dell’occupazione non se la passano i meglio i lavoratori con partita Iva.
“Il lavoratore con partita Iva – spiega Luca di 36 anni – è un’azienda a tutti gli effetti: assume su di sé tutti i rischi dell’impresa e si amministra da solo; non ha alcun contratto fisso con nessun’altra azienda e, perciò, può muoversi liberamente sul territorio e scegliere tra le varie opportunità di lavoro, accettando quella che gli assicura una maggiore retribuzione. Tra i fattori negativi c’è però quello di non avere la garanzia di un’entrata sicura ogni mese, poiché il numero delle prestazioni d’opera è incerto e variabile”.
Avendo la partita Iva si ha più possibilità di trovare un impiego rispetto ad un lavoratore che ne è sprovvisto? “Al giorno d’oggi sono molte le aziende che ricercano lavoratori autonomi: questi alle imprese non costano niente poiché non è previsto loro il pagamento di ferie, tredicesima, quattordicesima, malattia ecc.; è il lavoratore stesso a doversi versare i contributi previdenziali, e le aziende ne escono perciò soltanto avvantaggiate. Il lavoratore con partita Iva rientra quindi molto spesso nella lista dei ‘dipendenti mascherati’: dipende cioè da un’azienda pur non avendo un contratto che lo vincola ad essa. Non avere certezze dal punto di vista lavorativo, oggi come oggi purtroppo non è una prerogativa soltanto dei lavoratori con partita Iva. In questo momento siamo un po’ tutti in balia delle onde, perciò a volte bisogna accontentarsi di quello, seppure poco, che offre il mercato”.
Antonella Bartolini