Assorto com’ero nel mio settimanale impegno a sminuzzare piccole tranches di teologia abboccata in pezzi presumibilmente digeribili per lo stomaco dei miei 14 lettori (tanti sono, secondo gli ultimi sondaggi), ho alzato gli occhi e ho visto il presepio: Toh! è già Natale. Sarà bene tacere, mi sono detto. Una volta tanto. L’ho fatto, e ho ripreso in mano uno dei brani evangelici dove Lui spiega perché. Ho chiesto di guidarmi a Bruno Maggioni, uno che la Bibbia la conosce tanto quanto l’ama. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita in riscatto per molti”.”Per servire”. “Per fare un’esperienza di volontariato”? Magari chiedendo – in un secondo momento, please – l’iscrizione della sua associazione all’apposito albo regionale? No, non è così. È ben altro. È venuto a collocarsi stabilmente in mezzo a coloro che non hanno alcuna altra prospettiva nella vita se non quella di essere schiavi a vita, di qualcuno che sarà loro padrone a vita. Venne in un mondo spaccato in due, da questo punto di vista, e loro erano la grande maggioranza. “Dare la vita” non significa “morire”. Significa mettere la vita a disposizione. Coerentemente con il senso che della vita aveva Lui, come di un bene intrinsecamente paradossale, che si conserva solo se viene dilapidato per gli altri, e cresce solo se uno si dimentica di usarla per sé. “Per molti”: per tutti, che sono una sterminata moltitudine. Grazie, don Bruno. Così il nostro Buon Natale torna a insaporirsi, e diventano tollerabili le ciaramelle, le cornamuse, i giocattoli, le carabattole, il “dolcefolle” ciarpame che, oltre che esporci agli insulti del colesterolo cattivo, rischierebbe di farci dimenticare che Lui ormai è uno di noi, e per sempre.