Qualcuno pensa che la Chiesa non sia interessata alla crisi che attanaglia l’Italia e l’Europa, e che sotto sotto ne sia pure contenta per ridimensionare l’orgoglio di una società secolarizzata e prepotente che ha perduto il sano buon senso e ogni timor di Dio. La crisi farebbe riscoprire la vita modesta e sobria della “vita buona secondo il Vangelo”. Che questo possa accadere, è fuor di dubbio. Che questo sia il sentire della Chiesa, è del tutto errato, e chi lo dice è fuori strada. La Chiesa è nella crisi con i suoi membri, i suoi fedeli, e subisce l’urto delle difficoltà e delle situazioni di sofferenza e di disagio.
Non è neppure da prendere sul serio quanto ha detto di recente un docente universitario di sociologia, per il quale ciò che la Chiesa dice e compie sarebbe un’azione consolatoria. Altri discorsi superficiali e supponenti vengono da chi chiede alla Chiesa di pagare anziché di parlare: paghi le tasse come tutti gli altri! Ed aggiungono che ciò che essa propone appartiene al mondo delle “belle idee” che non trovano riscontro nella pratica. Ora, se risulta che la crisi ha diversi aspetti e molteplici cause, ci si dovrebbe fermare un momento ad esaminarle, e nel nostro caso lo abbiamo fatto con articoli presenti anche in questo numero: basti leggere Lignani e lo stesso vescovo Sorrentino (pag. 13). Molti sono stati i servizi dei numeri passati de La Voce sui temi del lavoro, dei giovani, delle famiglie, delle aziende che chiudono, inclusi i suicidi di imprenditori disperati (pag. 3 del n. 15). Su ognuno di questi temi la Chiesa, intesa nel senso pieno e vero di “popolo di Dio”, ha portato contributi di idee, di uomini, di esperienze e di progetti che hanno lasciato un segno nella storia del nostro Paese e dell’Europa, e può ancora dare un contributo notevole al superamento della crisi e alla ripresa dello sviluppo. La Chiesa e i cristiani non si sono limitati, dall’inizio dell’Ottocento, a fare l’elemosina. Non perché ciò sia un male, come pensavano i comunisti, ma perché non è sufficiente a risolvere i problemi della povertà né le esigenze dello sviluppo e della giustizia sociale. C’è, almeno sulla carta, una dottrina sociale, non ideologica e non sistematica, ma storica e prammatica, che dovrebbe o almeno potrebbe dare una mano per affrontare i nodi e le sfide di una società in rapido sviluppo. Ma molti cattolici la ignorano, e altri inventano strane teorie, di destra o di sinistra, che sono destinate a fallire perché sono già fallite al loro tempo. Il contributo della Chiesa in questo senso non è solo ideale, nel senso di astratto, ma, nel solco di Toniolo e di Leone XIII, indica un percorso che va ad incidere nelle situazioni concrete e a sciogliere i nodi e le contraddizioni, come quelle fatali e sempre ritornanti tra capitale e lavoro, tra Stato e società, tra centralismo e sussidiarietà. Ci sono dei cristiani fedeli, buoni e in buona fede, che confondono facilmente le cause con i sintomi, i pompieri che spengono gli incendi della conflittualità con gli incendiari, i chirurgi con i malati. Il nostro contributo oggi è soprattutto quello legato alla conoscenza, all’informazione. Spesso anche in questo campo gli scontri sono, più che tra culture diverse, tra ignoranze contrapposte. La crisi finanziaria e economica esige risposte anche di tipo comunicativo, sia nel senso immediato dell’informazione su come vadano le cose e come stiano le vicende nell’ambito dell’economia, sia per la conoscenza dei principi, sia – anche e soprattutto, per la Chiesa – nell’indicare valori e prospettive di vita, additando virtù e sostenendo con pazienza di Madre e Maestra la vita di un popolo.