{"id":9603,"date":"2011-09-09T00:00:00","date_gmt":"2011-09-09T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=9603"},"modified":"2015-06-15T16:51:27","modified_gmt":"2015-06-15T14:51:27","slug":"il-talento-di-saper-perdonare","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/il-talento-di-saper-perdonare\/","title":{"rendered":"Il talento di saper perdonare"},"content":{"rendered":"

Il Vangelo di questa domenica illustra la domanda del Padre nostro che dice: \u201cRimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori\u201d. Il racconto parabolico \u00e8 caratterizzato da due scene in contrasto fra loro: quella dell\u2019incredibile condono da parte del padrone, e il rifiuto di concederlo, altrettanto incredibile, da parte di chi era stato graziato. Il personaggio centrale \u00e8 il servo impietoso (la tradizione luterana lo chiama \u201cinetto e malvagio\u201d), che compare nelle due scene: nella prima come debitore insolvente, nella seconda come creditore. Sua immagine speculare di debitore, che compare nella seconda scena, \u00e8 il collega di servizio; vi si ripete quasi alla lettera la richiesta di dilazione del pagamento: \u201cAbbi pazienza con me e ti pagher\u00f2 tutto\u201d(Mt<\/em> 18,26.28).<\/p>\n

Il padrone pietoso per\u00f2 \u00e8 il vero protagonista; la parabola riveler\u00e0 poi che \u00e8 l\u2019immagine del \u201cPadre mio celeste\u201d (Mt<\/em> 18,35). Gli altri personaggi sono di contorno, funzionali alla narrazione. Colpisce la sproporzione fra i due debiti: 10.000 talenti da una parte, 100 denari dall\u2019altra. Ci incuriosisce sapere a quanto corrisponde quella cifra, tradotta in termini attuali. Purtroppo la nostra curiosit\u00e0 rimarr\u00e0 sostanzialmente inappagata. Sappiamo solo che un denaro era la paga giornaliera di un operaio e che un talento, a seconda dei territori e dei periodi storici, poteva valere da 6.000 a 10.000 denari. I 10.000 talenti della parabola rappresentano comunque una somma pressoch\u00e9 impagabile.<\/p>\n

Del resto il debitore, di cui si legge che era uno dei servi (letteralmente uno degli schiavi), deve essere stato in realt\u00e0 qualcuno simile a un importante operatore finanziario. Colpisce ancora di pi\u00f9 l\u2019animo grande del padrone, che si lascia impietosire dalle suppliche del debitore minacciato di perdere tutti i suoi averi ed essere venduto schiavo, insieme alla moglie e ai figli. (In tempi passati un\u2019operazione del genere era tutt\u2019altro che rara).<\/p>\n

C\u2019\u00e8 una parola nel testo che ce ne d\u00e0 la chiave di lettura: \u201ccompassione\u201d. Si legge che il padrone \u201cfu preso da compassione\u201d (Mt<\/em> 35,27). Nella lingua originale di questo Vangelo, il greco, il termine corrispondente al nostro \u201ccompassione\u201d, ha a che fare con le \u201cviscere\u201d. Come dire che la situazione disperata dell\u2019amministratore inetto e malvagio sconvolse il cuore del padrone. Qualcuno fra noi conosce qualche magnate della finanza, dal cuore cos\u00ec tenero da lasciarsi vincere dalla compassione, al punto condonare una somma di quelle dimensioni? Credo di no. Molti di noi, al contrario, conoscono signori che prendono per il collo i loro debitori, anche per molto meno di 100 denari.<\/p>\n

Tutto ha inizio con san Pietro, che pone una, domanda, per cos\u00ec dire, di tipo disciplinare. \u201cQuante volte devo perdonare il fratello che pecca contro di me?\u201d (18,21). La domanda non verte sulla questione: perdonare s\u00ec, o perdonare no. \u00c8 scontato che s\u00ec. Piuttosto: \u201cQuante volte?\u201d. L\u2019espressione \u201cil fratello che pecca contro di me\u201d fa pensare all\u2019esistenza di una comunit\u00e0 di fratelli. Quando Matteo scrive il suo Vangelo, la comunit\u00e0 cristiana era gi\u00e0 in vita gi\u00e0 da alcuni decenni, con le conseguenti difficolt\u00e0 di convivenza fraterna, che non \u00e8 difficile immaginare. Per loro l\u2019evangelista, ricordando la vicenda di Ges\u00f9, imbastisce questa catechesi sul perdono vicendevole, possibile solo dopo che si \u00e8 ricevuto quello di Dio.<\/p>\n

Allora, come oggi, il perdono reciproco \u00e8 decisivo per la qualit\u00e0 delle relazioni personali; su di esse la comunit\u00e0 si edifica o si distrugge. La risposta di Ges\u00f9 \u00e8 un gioco di numeri che ruota attorno al 7. Il numero 7, proposto da Pietro, portava gi\u00e0 in s\u00e9 un senso di completezza, ma limitata nel tempo. Noi avremmo detto: la pazienza ha un limite. Ges\u00f9 lo corregge, moltiplicandolo per 10 e poi ancora per 7; e con ci\u00f2 elimina ogni limite. Quel 7 fa pensare, per contrasto, a due personaggi dell\u2019Antico Testamento, Caino e Lamec (Gn<\/em> 4,24), in contesto di vendetta, non di perdono.<\/p>\n

Quale insegnamento ne viene a noi oggi? Al fratello va concesso il perdono senza misura, com\u2019\u00e8 quello di Dio per noi; consapevoli che la misura del debito nostro non \u00e8 lontanamente comparabile con quello che altri hanno verso di noi. Solo la consapevolezza di questa sproporzione sar\u00e0 capace di renderci compassionevoli con il fratello. D\u2019altra parte la gigantesca cifra condonata al servo inetto e malvagio dice che solo Dio pu\u00f2 perdonare tutto e subito, qualunque sia l\u2019offesa. Perch\u00e9 l\u2019uomo possa farlo, \u00e8 necessario che prima la misericordia di Dio trasformi il suo cuore. La misericordia ricevuta e quella da rendere scaturiscono dalla stessa Fonte.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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