{"id":9236,"date":"2011-03-25T00:00:00","date_gmt":"2011-03-25T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=9236"},"modified":"2011-03-25T00:00:00","modified_gmt":"2011-03-25T00:00:00","slug":"ubriacature","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/ubriacature\/","title":{"rendered":"Ubriacature"},"content":{"rendered":"
Ubriacature, al plurale. Fino alla seconda met\u00e0 del 2010, ne avevo conosciute solamente due. La prima, classica, da vino. A Scheggia, quella quotidiana del \u201cCaldararo\u201d. In paese erano pochi quelli che ne ricordavano il nome proprio, Alfredo, tutti lo conoscevano per la sua eccellente abilit\u00e0 di artigiano del rame, dalle cui mani uscivano \u201ccaldari\u201d di ottima fattura. \u201cCaldari\u201d, quei recipienti da lasciare pendenti dal gancio del camino a legna, per garantire la minestra\/sbiobba a chi torna a casa affamato ma fuori orario, o in ogni caso per assicurare la disponibilit\u00e0 di un minimo di acqua tiepida sulle ceneri calde. Il Caldararo lavorava sempre vicino al fiasco del vino. \u201cL\u2019ultima acqua? Quella del battesimo!\u201d bofonchiava Gigetto del Prete, che da parte sua l\u2019acqua la conosceva solo nella forma piovana. Ogni tanto il Caldararo lasciava il suo antro e attraversava il paese, rodendosi rumorosamente l\u2019indice della mano destra ripiegato ad \u201cu\u201d e lanciando grida e poetici moccoli policromi: il colore dell\u2019aggettivo prevaleva sulla blasfema aggressivit\u00e0 verso il sostantivo. Il Caldararo aveva due nipoti miei coetanei: Domenico, per anni addetto all\u2019Ufficio del lavoro di Gubbio, e \u201cMiretto\u201d (Amilcare), l\u2019amico del cuore, che mor\u00ec giovanissimo, alla guida di un autotreno, nei pressi di Genova. Con loro due stavo volentieri, molto meno col loro padre. Ma grande fu la mia meraviglia quando, quel padre, Augusto, il figlio del Caldararo, lo conobbi da vicino, Fu durante un pellegrinaggio a Lourdes. Primi anni \u201970. Il giorno in cui mia madre, alla quale avevo fatto il regalo pi\u00f9 ambito, batt\u00e9 rumorosamente e a lungo le mani, gridando come una bambina, quando, all\u2019ultima curva, apparve la basilica. Quel giorno Augusto, al mio fianco, a Massabielle improvvis\u00f2 una preghiera talmente bella e intensa da inumidirmi gli occhi. La seconda ubriacatura fu tutta mia, personale. Imprevista. Avevo vent\u2019anni e una fame perenne, anche se al Seminario Romano il cibo era ottimo e abbondante (solo il vino era razionato). Mi piaceva da morire il latte, nudo e crudo. Per placarne la sete, attivai furbizie assortite e riuscii a farne incetta, per trangugiarlo poi, di nascosto, in quantit\u00e0 esagerata; e\u2026 contrassi la sbornia da latte. Non vi dico i suoi effetti collaterali, tra il doloroso, il patologico e il ridicolo. Al medico non gli dissi gli antefatti, e lui non ci cap\u00ec niente. Vent\u2019anni mi dur\u00f2 la nausea del pallido liquido nutriente. Due sbornie, dunque, nella mia vita. La terza, quella che incontrai nella seconda met\u00e0 del 2010, era di pari virulenza, ma di tutt\u2019altro genere. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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