{"id":7305,"date":"2009-02-13T00:00:00","date_gmt":"2009-02-13T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=7305"},"modified":"2015-06-17T15:38:14","modified_gmt":"2015-06-17T13:38:14","slug":"la-solidarieta-dellamore-con-chi-soffre","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/la-solidarieta-dellamore-con-chi-soffre\/","title":{"rendered":"La solidariet\u00e0 dell’amore con chi soffre"},"content":{"rendered":"
Ogni tempo ha avuto le sue malattie considerate incurabili e devastanti. Pensiamo alla peste che per secoli svuotava periodicamente citt\u00e0 e paesi, pensiamo al colera, al vaiolo, alla tubercolosi che imperversavano nel mondo. La Terra \u00e8 stata sempre un campo di battaglia dove imperversa il male, magari con nomi e modalit\u00e0 nuove, come oggi il tumore, l’Aids, la droga. Fin dall’inizio il cristianesimo ha affrontato con coraggio e amore la cura dei malati creando ospedali, sanatori, lebbrosari, dispensari. Sono innumerevoli i santi della carit\u00e0 che in ogni secolo hanno speso la loro vita nella cura dei malati e hanno creato istituti ancora oggi attivi. Cos\u00ec si \u00e8 diffusa in Europa e altrove la cultura dell’assistenza dei malati. Ges\u00f9 aveva dato per primo l’esempio guarendo tanti malati durante la sua vita terrena. Non considerava questo compito marginale ma parte essenziale della sua missione. Egli era venuto a salvare tutto l’uomo, non solo la sua anima, perch\u00e9 l’uomo \u00e8 corpo e anima insieme.<\/p>\n
La guarigione esteriore era per lui segno della guarigione interiore dal male del peccato. A Giovanni ormai in carcere, che gli domandava disorientato se fosse lui il Messia o bisognasse aspettare un altro, Ges\u00f9 dava questi segni di garanzia: “I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano” (Mt<\/em> 11,5). Perci\u00f2 aveva incluso questo compito anche nella missione dei suoi discepoli: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni” (Mt<\/em> 10,8). Oggi il Vangelo ci descrive la guarigione di un lebbroso, che al tempo di Ges\u00f9 era considerato un essere immondo da evitare, un morto ambulante senza speranza, uno scomunicato per eccellenza, costretto a vivere segregato dal mondo degli uomini. La lebbra era una malattia simbolo del male che devasta l’uomo fin nel profondo. Cos\u00ec la considerava il libro del Levitico che abbiamo ascoltato nella prima lettura e che contiene regole drastiche e crudeli per chi ne fosse affetto.<\/p>\n Secondo la concezione del tempo, ogni malattia era una punizione dovuta al peccato; figuriamoci che tipo di colpa ritenevano ci fosse dietro la lebbra! Proprio uno di questi malati maledetti and\u00f2 da Ges\u00f9, sfidando tutte le regole pi\u00f9 elementari di igiene. Non grida per segnalare la sua presenza, non si tiene lontano, ma si prostra a terra davanti a Ges\u00f9, quasi a sfiorarlo. Deve aver approfittato di un momento in cui non era pressato dalla folla, che altrimenti lo avrebbero cacciato in malo modo. Ges\u00f9 non si sorprende, non inorridisce, non lo evita, ma lo accoglie con amore e compassione. Racconter\u00e0 pi\u00f9 tardi la parabola del buon samaritano, dove criticher\u00e0 l’atteggiamento senza cuore del sacerdote e del levita, che evitano di soccorrere un povero disgraziato moribondo sul ciglio della strada, scostandosi da lui il pi\u00f9 possibile. Nel racconto loder\u00e0 invece il samaritano compassionevole che si fa vicino e si prende cura di un bisognoso a lui sconosciuto, e se ne fa carico.<\/p>\n Rivolgendosi poi allo scriba che lo aveva provocato aveva detto: “Va’ e fai anche tu lo stesso” (Lc<\/em> 10,30-37). Ora che era lui stesso ad imbattersi in quel disgraziato devastato dalla lebbra, non poteva tirarsi indietro. Ora doveva essere lui il buon samaritano del momento. Lo schema narrativo \u00e8 quello consueto dei miracoli, adottato dalla tradizione orale per ricordare e tramandare pi\u00f9 facilmente i fatti prodigiosi compiuti da Ges\u00f9, naturalmente con le varianti del caso: c’\u00e8 un incontro, una richiesta, un intervento miracoloso, la costatazione della guarigione avvenuta, la richiesta di segretezza, la diffusione della notizia. Il miracolo mette sempre in evidenza la superiorit\u00e0 di Cristo nei confronti dei grandi uomini dell’Antico Testamento. Mos\u00e8 aveva chiesto a Dio di guarire dalla lebbra sua sorella Maria, ma lei dovette attendere sette giorni segregata prima di esserne mondata (Num<\/em> 12,13ss). Eliseo guar\u00ec dalla lebbra Naaman il siro, ma nemmeno lo volle incontrare e lo mand\u00f2 a lavarsi sette volte nel Giordano per essere mondato (2 R<\/em>e 5,10ss).<\/p>\n Ges\u00f9 accoglie senza remore il lebbroso che lo supplica con tanta umilt\u00e0 e confidenza: “Se vuoi, puoi purificarmi”. Quell’uomo fa appello alla volont\u00e0 di Cristo, al suo buon cuore. Scatta allora in lui la compassione (splanchnisth\u00e8i<\/em>s), cio\u00e8 un sentimento viscerale partecipativo e commosso come quello del samaritano. Come poteva dire di no a quel relitto umano prostrato ai suoi piedi? Non esita un momento; allunga la mano per toccarlo e rassicurarlo amorevolmente, e dice chiaro: “S\u00ec che lo voglio, sii purificato”. Era vietato dalla legge toccare un lebbroso; si diventava immondi e bisognava poi sottoporsi a riti di purificazione. Ges\u00f9 non tiene conto di questo, \u00e8 pi\u00f9 forte il bisogno di donare una carezza a quel lebbroso desolato. Il gesto affettuoso e la parola potente rimettono subito in piedi l’uomo, ormai restituito all’umana convivenza.<\/p>\n La destra del Signore ha ancora compiuto meraviglie (Sl<\/em> 118,16). Guarire un lebbroso \u00e8 come risuscitare un morto, dicevano i rabbini. Andatelo a dire a quell’uomo, quanto ci\u00f2 fosse vero! La commozione assale Ges\u00f9 che, come ogni uomo che non vuole farsi vedere emozionato, fa il duro e scaccia da s\u00e9 il guarito intimandogli di non dire niente a nessuno, ma di andare dal sacerdote del suo villaggio per compiere il rito di purificazione e per farsi rilasciare l’attestato di guarigione, necessario per rientrare in societ\u00e0. L’intimazione di tacere si rivel\u00f2 perfettamente inutile, perch\u00e9 l’uomo gridava a tutti quelli che incontrava la sua gioia e la riconoscenza al suo benefattore per la guarigione ricevuta. Questo provoc\u00f2 un afflusso enorme di persone curiose e interessate, tanto che Ges\u00f9 non poteva entrare pubblicamente in citt\u00e0 senza esser assalito dalla folla. Era costretto a rimanere fuori per sfuggire alla morsa della gente, sana e malata.<\/p>\n Una lezione per\u00f2 l’aveva data, valida allora e oggi: prendersi cura del prossimo bisognoso ha un prezzo in termini di tempo, di denaro, di quiete personale. Ges\u00f9 diceva: “I poveri li avrete sempre con voi” (Mc<\/em> 14,7s). La stessa cosa si pu\u00f2 dire dei malati da assistere, per quanti progressi faccia la medicina. Non bisogna stancarsi di accoglierli e di aiutarli sempre, secondo le proprie capacit\u00e0 e possibilit\u00e0. Chi \u00e8 stato male in maniera seria, sa quanto sia preziosa una compagnia, un’assistenza, un sorriso, una carezza.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" Ogni tempo ha avuto le sue malattie considerate incurabili e devastanti. Pensiamo alla peste che per secoli svuotava periodicamente citt\u00e0 e paesi, pensiamo al colera, al vaiolo, alla tubercolosi che imperversavano nel mondo. 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