{"id":7124,"date":"2008-11-21T00:00:00","date_gmt":"2008-11-20T22:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=7124"},"modified":"2023-12-01T20:25:26","modified_gmt":"2023-12-01T18:25:26","slug":"saremo-tutti-giudicati-sullamore-dal-re-dellamore","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/saremo-tutti-giudicati-sullamore-dal-re-dellamore\/","title":{"rendered":"Saremo tutti giudicati sull’amore dal Re dell’amore"},"content":{"rendered":"

La vita cristiana \u00e8 tensione, speranza, attesa, perci\u00f2 ripetiamo ogni giorno nella preghiera del Padre nostro: “Venga il tuo regno!” (Mt<\/em> 6,10). Il tempo dell’attesa resta imprecisato, nessuno sa quando e dove avverr\u00e0 l’incontro definitivo con Dio; incombe sempre su di noi il sentimento dell’imminenza, come se la morte fosse dietro l’angolo.<\/p>\n

Siamo alla fine dell’anno liturgico, e nella messa di questa domenica risuona alto l’annuncio del regno dei cieli, quello definitivo, che verr\u00e0 con il ritorno di Cristo-Re nella sua gloria di risorto. Esso ha lo scopo di nutrire la nostra speranza e di inculcare l’urgenza dell’attesa per non farci sorprendere impreparati. Meravigliosa attenzione materna della Chiesa, che non cessa di metterci in guardia con insistenza, senza illusioni! Quello di Ges\u00f9 \u00e8 l’annuncio di un incontro dei figli con il Padre, dei fratelli con il fratello maggiore che \u00e8 andato a preparare loro un posto.<\/p>\n

Questo consente di superare l’ansia e lo spavento paralizzante della morte. Il giudizio resta sullo sfondo come ammonimento bonario per stimolarci a vivere con responsabilit\u00e0 e amore la vita che Dio ci dona. Sar\u00e0 una sorpresa gioiosa per chi ha speso l’esistenza nell’amore di Dio e del prossimo.<\/p>\n

L’attesa non deve distogliere nessuno dal presente storico, non consente evasioni dalla realt\u00e0, non consente a nessuno di vivere in una specie di sala d’attesa, sfogliando qualche rivista di attualit\u00e0.<\/p>\n

Il Vangelo di oggi presenta in maniera scenica il giudizio finale di Ges\u00f9, quello che gli antichi committenti e pittori amavano affrescare sulla parete di fondo delle chiese, come ammonimento a chi usciva dall’edificio sacro dopo aver partecipato alla liturgia. Era come dire che avrebbero avuto tutti un altro incontro pi\u00f9 impegnativo con Cristo, prolungamento di quello appena vissuto in chiesa. Nulla meglio della scena del giudizio finale illustra l’idea di Cristo re dell’universo che oggi celebriamo. Il racconto, presente solo nel Vangelo di Matteo<\/em>, \u00e8 una specie di parabola; non intende cio\u00e8 illustrare fotograficamente quello che accadr\u00e0. Molti esegeti parlano della “parabola delle pecore e delle capre”.<\/p>\n

L’inizio riproduce ci\u00f2 che avveniva alla sera negli ovili della Galilea: il pastore separava le pecore (pr\u00f2bata<\/em>) dalla capre (eriph\u00f2i<\/em>) per mungerle e riporle in recinti diversi a passarvi la notte. Qui la separazione, tra le pecore bianche e le capre dal manto nero, ha un chiaro fine discriminatorio fra buoni e cattivi, al fine di assegnare loro un destino diverso. Quasi senza che ce ne accorgiamo, quel pastore si trasforma nel re-giudice. Ges\u00f9, durante il suo processo celebrato davanti al Sinedrio, aveva annunciato: “D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla destra di Dio, venire sulle nubi del cielo” (Mt<\/em> 26,64). Le due figure, quella del pastore e quella del re, si trovano spesso sovrapposte nella Bibbia e nella letteratura orientale, dove Dio o il re terreno hanno questa doppia fisionomia simbolica.<\/p>\n

L’immagine del raduno del gregge caratterizza poi il tempo della salvezza finale. Ges\u00f9 aveva detto: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv<\/em> 10,16).<\/p>\n

Un altro elemento simbolico \u00e8 rappresentato dal dialogo del giudice, che presenta una semplificazione schematica dei capi d’imputazione, prima in positivo e poi in negativo. Sono esempi che non intendono esaurire gli impegni morali richiesti per un giudizio equo. Sono elencate le pi\u00f9 urgenti opere di misericordia corporale, conosciute nella tradizione giudaica, e descrivono in modo plastico l’esigenza ineludibile dell’amore del prossimo. Siamo nel cuore stesso del Vangelo. Come in ogni parabola, Ges\u00f9 intende illustrare solo un aspetto parziale, rappresentativo dell’agire e del volere di Dio. Nelle quattro parabole escatologiche che concludono i discorsi di Ges\u00f9 nel Vangelo di Matteo<\/em>, quella del maggiordomo (24,45-51) e delle ragazze che attendono lo sposo (25,1-13) mettono in evidenza la vigilanza dell’attesa; quella dei talenti (15,14-30) pone in risalto la capacit\u00e0 di intraprendenza e di impegno; la nostra di oggi presenta l’esercizio concreto della carit\u00e0, il comandamento nuovo di Ges\u00f9 (Gv<\/em> 13,34s).<\/p>\n

Al centro del racconto c’\u00e8 il Figlio dell’uomo, Ges\u00f9 risorto presentato con tutta la sua maest\u00e0 e gloria. Coronato re per scherno dai soldati di Pilato, ora svela tutta la sua singolare regalit\u00e0 al cospetto del mondo che lo aveva rifiutato. Intorno a lui non c’\u00e8 pi\u00f9 la turba vociante dei nemici che lo reclamano crocifisso, ma la corte del cielo rappresentata dagli angeli. Davanti a lui ci sono ora tutte le genti da lui redente (Gv<\/em> 12,32), raccolte per il giudizio definitivo. Lo spettacolo, in forma pi\u00f9 dettagliata e suggestiva, \u00e8 descritto, sempre con linguaggio figurato, dal libro dell’Apocalisse (20,11-13). Gli uomini posti alla destra sono definiti “benedetti del Padre”, l’equivalente di “beati”, persone conosciute e amate per il loro impegno di fede e di amore. Alla sinistra, luogo di valore inferiore, ci sono invece i “maledetti”. \u00c8 un termine che si trova solo qui sulla labbra di Cristo e riecheggia la maledizione lanciata da Dio contro Caino, il fratricida (1 Gv<\/em> 3,15). Essi richiamano la figura del ricco egoista della parabola del povero Lazzaro, e sono condannati, come quello, al “fuoco eterno”.<\/p>\n

Si ha l’impressione che Ges\u00f9 si trovi a disagio nel parlare di questi ultimi e nel descriverne il supplizio eterno, perci\u00f2 la loro condanna \u00e8 pronunciata in maniera affrettata e sintetica. Tuttavia la conclusione dei due momenti del processo \u00e8 ripetuta con le stesse parole per rendere pi\u00f9 chiaro il significato contrapposto: “Tutto quello che (non) avete fatto a uno solo di questi pi\u00f9 piccoli, (non) l’avete fatto a me”. Quelli che qui Ges\u00f9 chiama “i suoi fratelli pi\u00f9 piccoli” sono tutti quei poveri e sventurati del mondo, bisognosi di aiuto e di conforto, descritti due volte nel corso del giudizio. Nessun re del mondo chiamerebbe fratelli gli ultimi del suo regno; solo Ges\u00f9 – che ha provato povert\u00e0, disprezzo, dolore e persecuzione – poteva usare questo linguaggio familiare e sentirsi solidale con gli ultimi della terra. La parabola insegna che ogni cristiano deve sentirsi membro di questa famiglia di poveri, fratello attivo di tutti i bisognosi, per essere chiamato poi ‘benedetto del Padre mio’ nel giudizio finale del re dell’universo. Non ci sar\u00e0 gioia pi\u00f9 grande!<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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