{"id":7102,"date":"2008-11-14T00:00:00","date_gmt":"2008-11-14T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=7102"},"modified":"2008-11-14T00:00:00","modified_gmt":"2008-11-14T00:00:00","slug":"ancora-goliardia","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/ancora-goliardia\/","title":{"rendered":"Ancora goliardia"},"content":{"rendered":"

\u00c8 una cosa seria la contestazione che ha scatenato il decreto Gelmini? Serissima da parte dei docenti. Ma da parte degli studenti (‘Gelmini, se vuoi tagliare frequenta un corso di sartoria!’)?’ S\u00ec, s\u00ec, c’\u00e8 un ritorno di fiamma della goliardia dei primi 20 anni del dopoguerra. Goliardum, latino medioevale: da Golia (il biblico gigante che Davide giovanissimo fece secco con una sassata nelle croce degli occhi) + gula, la gola. Da noi la parola goliardia gi\u00e0 nel sec. XIV indica la vita libera e spensierata dei clerici vagantes, zuzzurelloni che oggi avrebbero la loro giusta collocazione nell’Isola dei famosi; procaci nel genio e geniali nella procacit\u00e0. Non rischiavano bocciature agli esami, perch\u00e9 evitavano di darne. Rischiavano di brutto la cirrosi epatica. Goliardia. 1962: per accedere alla facolt\u00e0 di Lettere classiche, ho dovuto procurami anche io il mio papiro: un documento cartaceo farcito di zozzerie con qualche spunto di occasionale arguzia; senza il papiro, firmato dal Grifone (lo zuzzurellone\/capo) non si entra in Universit\u00e0. Goliardia. Al baretto di via Annibale Vecchi. Due studenti; uno seduto, uno al banco: ‘Senta, mi fa un cappuccino con una brioche?’. ‘Il cappuccino s\u00ec, ma le brioches le ho finite’. ‘Non fa niente: allora mi dia un bicchiere di latte con una brioche’. Fissandolo: ‘Allora non mi sono spiegato” e ripeteva’ ‘Non si spazientisca, mi accontento anche di un t\u00e8 con una brioche’. L’esercente url\u00f2, afono come una foca monaca, lo studente se and\u00f2, amareggiato. A questo punto entra in azione il secondo studente, quello seduto: ‘Complimenti, lei ha una pazienza davvero invidiabile. Se ero io al posto suo, gli sbattevo in faccia il vassoio delle brioches!’. La goliardia trascolor\u00f2 nella contestazione con le prime occupazioni. 1968, piazza Morlacchi. Lettere \u00e8 occupata (‘E cche vvo’ dd\u00ec!’). Sulla porta c’\u00e8 Laffranco, Maestoso con benignit\u00e0. Una sfinge; sul volto appena un’ombra di sorriso. Noi studenti gli facciamo ressa introno: come finir\u00e0? Nessuno pu\u00f2 entrare. Ma ecco che, da Maest\u00e0 delle Volte, arriva trotterellando il Professore di Latino. Un Barone patentato. Rotondo. Tronfio. La folla degli studenti si apre davanti a lui come un panino di burro davanti ad un coltello infuocato. E lui arriva a contatto con il ragazzone monumentale. Secco: ‘Si sposti!!’. ‘E perch\u00e9 dovrei spostarmi?’. ‘Perch\u00e9 io voglio entrare!’. ‘Hutch! Hutch! (compassionevole)… Voglio: ma l’erba voglio non nasce pi\u00f9 nemmeno nei giardini del re’. Petto in fuori: ‘Lei non sa chi sono io!!’. Sinceramente incuriosito: ‘E chi \u00e8?’. Ottava superiore: ‘Io sono il professooore di latiiino”.Ora il ragazzone si rivolge a noi studenti, angelico: ‘Ggiovani! Sapete cos’\u00e8 un professore?’. Coro: ‘Nooo!’. ‘E sapete cos’\u00e8 il latino?’. Coro: ‘Nooo!’. E il ragazzone si china sul Barone, dolcissimo, quasi bisbigliando: ‘Vede, signore… Lei non \u00e8 nessuno’. La gioia che sprizzavamo in silenzio (domani il Barone ci interroga!) era l’alba di un mondo nuovo. Quasi nuovo.’\/p<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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