‘La fede rischiara la vita’: arriva sempre il momento in cui questa frase di routine riemerge in tutta la sua umana verit\u00e0, e quella luce rischiara lembi di vita che nessun’altra luce potrebbe raggiungere. L. e M. hanno avuto un bambino, il secondo. Gravemente handicappato. ‘La nostra vita \u00e8 naufragata’: in uno scritto di angosciante bellezza, questo ripetono i due giovani sposi: ‘La nostra vita \u00e8 naufragata’. Chinare la testa, chiudere gli occhi: che altro? Un dolore cos\u00ec lacerante merita tutto il nostro silenzio. Eppure una luce c’\u00e8. Lontana, fioca, ma c’\u00e8. Sepolta sotto cumuli di retorica, come spesso succede alle verit\u00e0 che attengono al cuore della vita. Fioca ma capace di rischiarare il naufragio di L. e M. Alludo alla ‘concezione fetale’ della vita. Alla luce della fede, la nostra condizione di bipedi deambulanti a fatica sulla glabra superficie del globo terracqueo \u00e8 mistero, ma pure un suo riferimento semantico pu\u00f2 trovarlo. Dove? Nella condizione del feto, appunto. Con diverse pre-condizioni. Innanzitutto sentire noi stessi, tranquillamente, come gente che, lungi dall”avanzare verso il futuro’, brancola rimediando capocciate ad ogni spigolo della vita. E poi avere netta la sensazione della falsit\u00e0 della frase pi\u00f9 falsa di tutte: ‘la mia vita’, come se la vita fosse veramente nostra, mentre ci viene donata momento per momento. E infine smetterla di emarginare la vita eterna come una sbiadita appendice di quella temporale, mentre \u00e8 la vita di oggi che va vista come una pallida anticipazione di quella di domani: del domani di Dio, naturalmente, non certo dei nostri piccoli, traballanti domani, irrimediabilmente falsati dall’ottimismo della volont\u00e0. In questa luce la sconfitta di L. e M. pu\u00f2 diventare attesa dell’Inaudito. E i movimenti limitati, faticosissimi, scoordinati di quel bimbo, l’inizio di un cammino trionfale. E il suo lessico disartrico, la prima strofa di un canto immenso che invader\u00e0 i cieli limpidi di Dio, non certo quelli inquinati del nostro inutile ‘Progresso’. Anche io ho un figlio disabile, tetraparetico e oligofrenico. L’adottai 33 anni or sono, per motivi sostanzialmente futili: ma avevo gi\u00e0 alle spalle una comunit\u00e0 di vita la cui solidariet\u00e0 fattuale, cos\u00ec lontana dalle mille solidariet\u00e0 verbose nelle quali inciampiamo tutti ogni giorno, poteva reggere anche la mia futilit\u00e0. Dorme nel letto accanto al mio, Franco. E quando la sera io mi corico con il giornale in mano, Franco fa altrettanto; anche se non sa leggere. Un giorno Gianni l’obiettore l’ha sorpreso con un libro in mano e la luce spenta. ‘Questa s\u00ec che \u00e8 intelligenza! Visto che non sai leggere, per lo meno risparmi energia elettrica!’. In realt\u00e0 il gesto di Franco che prende in mano il giornale e lo apre come se dovesse leggerlo \u00e8 un gesto di alto spessore teologico. \u00c8 il gemito della creazione che aspetta il suo riscatto, come diceva Paolo quando ancora nessuno aveva progettato un anno intero dedicato al suo pensiero teologico, nella speranza di coglierne le formidabili implicazioni antropologiche, che di quel pensiero sono la cartina di tornasole.’\u00a0 ‘\u00a0‘\u00a0‘\u00a0‘\u00a0Buona notte, Franco, mio ‘piccolo’ naufrago 44enne. Quanti sbagli nella mia vita! Ma questo no. Questo sbilenco tentativo di cogliere la Sapienza di Dio nella dolce insensatezza dei tuoi gesti di Uomo dell’Attesa. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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