{"id":6699,"date":"2008-05-30T00:00:00","date_gmt":"2008-05-30T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=6699"},"modified":"2015-06-18T16:14:28","modified_gmt":"2015-06-18T14:14:28","slug":"veri-e-falsi-cristiani","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/veri-e-falsi-cristiani\/","title":{"rendered":"Veri e falsi cristiani"},"content":{"rendered":"
Leggendo il Vangelo, si rimane impressionati dal frequente uso che Ges\u00f9 fa delle immagini contrapposte. Spesso stabilisce confronti tra realt\u00e0 e atteggiamenti contrari, come se non conoscesse i colori ed toni intermedi tra il bianco e il nero. Per limitarci al Discorso della montagna, la cui conclusione leggiamo oggi nel Vangelo, Ges\u00f9 usa il classico confronto tra agnelli e lupi (7,15), tra albero buono e albero cattivo, tra frutti buoni e frutti guasti (7,16-18), tra veri e falsi profeti (7,15), tra saggi e stolti (7,24.26), tra casa costruita sulla roccia e casa costruita sulla sabbia. Si pu\u00f2 subito notare che in questi paragoni l’aspetto positivo \u00e8 sempre messo prima dell’aspetto negativo, Vuol dire che Ges\u00f9 \u00e8 un ottimista, \u00e8 abituato a guardare la vita e la storia in positivo, anche se la sua concretezza lo porta a giudicare senza farsi illusioni. Perci\u00f2 costata con amarezza anche gli aspetti negativi della realt\u00e0, causati dalla cattiveria e dalla fragilit\u00e0 umane.<\/p>\n
Egli sa che “l’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive” (12,35). Se usa immagini contrapposte, lo fa per farsi capire meglio da gente concreta, abituata ad un linguaggio forte e chiaro. Con esse, non contrappone vera e falsa dottrina, ma buona e cattiva condotta. \u00c8 ci\u00f2 che gli interessa di pi\u00f9, perch\u00e9 ha sempre avversato l’ipocrisia, la doppiezza, quella dei farisei che “dicono ed non fanno” (Mt<\/em> 23,3). Non sopporta le mezze misure dell’incoerenza. Inizia perci\u00f2 il suo discorso respingendo una preghiera fatta solo di parole, separata da una prassi di vita cristiana impegnata. La preghiera biascicata non serve a nulla, se non \u00e8 unita alla vita; la fede \u00e8 vuota senza le opere: “Non chi dice: Signore, Signore, entrer\u00e0 nel regno dei cieli, ma colui che fa la volont\u00e0 del Padre mio che sta nei cieli”.<\/p>\n La ripetizione della parola “Signore” vuole significare l’intensit\u00e0 dell’invocazione, e dice che nemmeno tale intensit\u00e0 giova a qualcosa, se manca lo sforzo per compiere la volont\u00e0 di Dio rivelata da Cristo nel discorso che sta concludendosi. Proprio questo primo discorso, come l’ultimo, si chiude con il riferimento al rendiconto finale della fine dei tempi (“quel giorno”). Ges\u00f9 afferma che lui, come giudice ultimo, non ci giudicher\u00e0 sulle preghiere pronunciate, le prediche fatte in suo nome; paradossalmente, non terr\u00e0 conto nemmeno dei miracoli e degli esorcismi operati usando il suo nome. Il rimando ideale al giudizio finale, al momento cio\u00e8 della separazione delle pecore dai capri, dei benedetti dai maledetti (Mt<\/em> 25,31-46), ci fa capire che l’ultimo esame verter\u00e0 sull’amore per il prossimo. Del resto questo \u00e8 il nucleo delle esigenze presentate da Ges\u00f9 nel Discorso della montagna. Aveva cominciato col dire: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perch\u00e9 siate figli del Padre vostro celeste… Siate perfetti, in questo, come \u00e8 perfetto il Padre vostro del cielo” (5,44-48).<\/p>\n Aveva proseguito col dire: “Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdoner\u00e0 anche a voi” (6,14). E ancora: “Col giudizio con cui giudicate sarete giudicati”. Poi aveva riassunto tutto nella regola d’oro di tutta la vita cristiana: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo loro: questa infatti \u00e8 la Legge e i Profeti” (7,12). La volont\u00e0 di Dio \u00e8 tutta qui, i prodigi straordinari non possono sostituire o compensare la mancanza dell’amore. Alla stessa conclusione ci rimanda la sentenza di allontanamento dei cattivi cristiani, composta da un’affermazione chiara e schietta (omologh\u00eca<\/em>) fatta di due elementi: anzitutto una dichiarazione di non riconoscimento, espresso cos\u00ec nel discorso di missione: “Chi non mi riconoscer\u00e0 davanti agli uomini, neanche io lo riconoscer\u00f2 davanti al Padre mio” (10,33). Poi le parole di condanna del giudizio finale: “Via da me, maledetti, perch\u00e9 ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare’ Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli pi\u00f9 piccoli, non l’avete fatto a me” (25,41-45).<\/p>\n Il discorso si conclude con una doppia immagine costruita sul parallelismo antitetico, nello stile della ripetizione letterale tanto cara ai racconti giudei del tempo e tanto usata nel corso del discorso stesso. L’immagine \u00e8 presentata come il riassunto di tutto il discorso. Sono messi a confronto due destini contrapposti: quelli dei veri e falsi cristiani, che Matteo chiama saggi o stolti come nella parabola delle ragazze invitate a nozze (Mt 25,2). L’antitesi nel nostro brano \u00e8 triplice: tra il fare e il non fare, tra il saggio e lo stolto, tra la roccia e la sabbia. Anche Luca riporta lo stesso paragone che, anche in lui, non assurge al rango di vera parabola, cio\u00e8 il puro racconto di una storia priva di allegoria. Egli pi\u00f9 esplicitamente riferisce il paragone positivamente a “chi viene a me, ascolta le mie parole e le mette in pratica” (6,47).<\/p>\n Dunque ci presenta chiaramente la responsabilit\u00e0 e l’impegno del credente che viene, ascolta e mette in pratica gli insegnamenti di Ges\u00f9. Pone poi chiaramente la costruzione della casa senza fondamenta dello stolto sulla rive di un fiume o di un torrente, dove viene travolta dalla piena straripante improvvisa. Matteo considera il comportamento dell’uomo saggio e dell’uomo stolto: l’uno costruisce la sua casa sullo scoglio, l’altro costruisce sul terreno di riporto, per sua natura friabile. Al tempo di Ges\u00f9 in Palestina ognuno si costruiva la sua casa da s\u00e9 con poca o sufficiente perizia. Il risultato appariva quando la costruzione era in pericolo a causa di alluvioni e tempeste, che in Oriente si abbattono improvvise e trascinano via tutto, perch\u00e9 non c’\u00e8 la vegetazione che ne frena la violenza.<\/p>\n Ges\u00f9 descrive il fenomeno realisticamente con una serie di tre verbi: abbattersi, urtare, infrangersi. La casa costruita sulla roccia resiste bene, quella costruita sul terreno di riporto crolla, seppellendo tutti gli abitanti (Ez<\/em> 13,14). Fuori metafora, Ges\u00f9 vuole dire che chi mette a fondamento della vita il suo insegnamento appena concluso, si mette al sicuro davanti al giudizio finale di Dio. Si assicura la salvezza eterna. Chi rifiuta o ignora questo insegnamento, mette in pericolo la sua salvezza definitiva. Ognuno di noi \u00e8 salvato esclusivamente dalla parola di Ges\u00f9, accettata e messa in pratica. Non ci salver\u00e0 l’illusione delle belle parole e dei pii desideri.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" Leggendo il Vangelo, si rimane impressionati dal frequente uso che Ges\u00f9 fa delle immagini contrapposte. Spesso stabilisce confronti tra realt\u00e0 e atteggiamenti contrari, come se non conoscesse i colori ed toni intermedi tra il bianco e il nero. 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