{"id":6431,"date":"2008-02-08T00:00:00","date_gmt":"2008-02-07T22:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=6431"},"modified":"2015-08-07T14:49:50","modified_gmt":"2015-08-07T12:49:50","slug":"diede-la-vita-per-amore","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/diede-la-vita-per-amore\/","title":{"rendered":"“Diede la vita per amore”"},"content":{"rendered":"

Sono passati esattamente due anni dalla morte di don Andrea. E noi siamo tornati come pellegrini, in questo luogo santo, per pregare, per ricordare e per attingere dalla ricchezza della sua testimonianza un nuovo vigore evangelico. In questo luogo, lontano dai nostri luoghi abituali, scendiamo nelle profondit\u00e0 della storia umana oltre che della testimonianza evangelica. Questa piccola chiesa si \u00e8 aggiunta ai numerosissimi Calvari dei tempi moderni, uno dei luoghi santi ove i discepoli hanno effuso il loro sangue assieme a quello del loro Maestro. E noi siamo venuti qui con il cuore commosso, sapendo di stare in luogo alto di questa terra. Siamo in pochi, come erano pochi quel gruppetto di amici in quel lontano Venerd\u00ec santo fuori le mura di Gerusalemme per stare sotto quella croce. Sappiamo per\u00f2 che da quella croce continua a nascere una speranza nuova anche per noi. (‘) L’amore di Cristo \u00e8 una forza irresistibile e giunge sino ai limiti estremi del mondo per portare a tutti la salvezza. \u00c8 questo l’amore che ha guidato don Andrea sino in questa terra, e sino a dare la sua stessa vita. Quello di Ges\u00f9 \u00e8 infatti un amore che non conosce confini, n\u00e9 quelli geografici n\u00e9 quelli dei cuori. \u00c8 un amore che non consce limiti. Di questo l’amore abbiamo ancora tutti bisogno. Noi siamo venuti per contemplare questo amore, per coglierne la grandezza, per nutrircene e viverlo. E anche a noi viene oggi concessa come una visione. Mentre ricordiamo la morte martiriale di don Andrea, le parole dell’Apocalisse, scritte da Giovanni non lontano da questa terra, aprono anche a noi uno spiraglio nel cielo. E possiamo scorgere don Andrea accolto nel numero sconfinato dei ‘nuovi martiri’ dell’ultimo secolo, e dell’inizio di questo terzo millennio, nei quali Giovanni Paolo II vedeva gi\u00e0 realizzata l’unit\u00e0 dei cristiani e ‘ potremmo aggiungere ‘ dell’intera famiglia umana. (‘) Questa piccola chiesa, lontana dai nostri luoghi abituali e in certo modo sperduta, resta un santuario da custodire e da proteggere perch\u00e9 la testimonianza di don Andrea possa continuare a interpellarci e a muovere i nostri cuori. Se essi ‘ come scrive l’Apocalisse ‘ ‘stanno davanti al trono di Dio’, \u00e8 bene che noi li abbiamo davanti a noi. Ci aiutano a stare alla presenza di Dio. In un mondo in cui \u00e8 facile essere travolti dai venti della superficialit\u00e0 e del consumismo perbenista, in un mondo in cui \u00e8 sempre pi\u00f9 difficile un amore che vada oltre i confini del proprio piccolo mondo, la testimonianza martiriale di don Andrea e dei tanti martiri di questo nostro tempo ci mostra quell’amore gratuito e senza limiti che \u00e8 la stella polare che pu\u00f2 illuminare gli uomini a non precipitare nella notte buia dell’amore solo per se stessi e per i propri confini. Don Andrea, con la sua morte, ci mostra come essere cristiani oggi, come essere preti in questo nostro tempo, come vivere il Vangelo senza aggiunte, nella sua povert\u00e0 e nella sua forza dirompente. Benedetto XVI, rivolgendosi ai seminaristi del Seminario romano pochi giorni dopo la morte, indicava don Andrea ad esempio per il presbiterio diocesano: ‘Abbiamo il luminoso esempio di don Andrea, che ci mostra da una parte, l’interiorit\u00e0 della propria vita con Cristo e, dall’altra, la propria testimonianza per gli uomini in un punto realmente ‘panperiferico’ del mondo’ \u00c8 una testimonianza che ispira tutti a seguire Cristo, a dare la vita per gli altri e a trovare proprio cos\u00ec la Vita’. E, lo scorso anno, venendo pellegrino in Turchia, al santuario di Meryem Ana Ev\u00ec, lo ricordava assieme a Maria: ‘Con salda fiducia cantiamo, insieme a Maria, il Magnificat della lode e del ringraziamento a Dio, che guarda l’umilt\u00e0 della sua serva. Cantiamolo con gioia anche quando siamo provati da difficolt\u00e0 e pericoli, come attesta la bella testimonianza del sacerdote romano don Andrea Santoro, che mi piace ricordare anche in questa nostra celebrazione’. Don Andrea \u00e8 venuto in questa terra da credente, sapendo che il Signore lo accompagnava. Sapeva che veniva in una ‘terra santa per ebrei, cristiani e musulmani’. E diceva che era ‘necessario entrarvi in punta di piedi, con umilt\u00e0, ma anche con coraggio’. Vi \u00e8 giunto con quel senso di debito che l’Occidente deve all’Oriente: il debito verso una terra da cui l’Occidente e la stessa Roma hanno ricevuto il Vangelo. Ed \u00e8 ancor pi\u00f9 significativo ricordare don Andrea in questo anno del bimillenario di san Paolo. L’apostolo, figlio di questa terra, l’ha lasciata per portare il Vangelo sino a Roma. All’inizio della Lettera ai Romani scrive: ‘Sono quindi pronto’ a predicare il vangelo anche a voi di Roma’ (Rm 1, 15). Don Andrea, con un cammino inverso, \u00e8 venuto qui come a pagare quel debito di riconoscenza che anche Roma deve verso l’Apostolo. Don Andrea pensava che era urgente tornare qui per attingere direttamente dalla fonte la forza del Vangelo che aveva cambiato Roma e il mondo. Non voleva infatti che la sua fosse una scelta personale. Insist\u00e9 presso il cardinale Ruini perch\u00e9 venisse a nome della diocesi di Roma. Nel 2000, prima di lasciare Roma, scriveva cos\u00ec ai parrocchiani: ‘Andando io vorrei (se Dio lo vorr\u00e0) attingere e consegnare anche a voi un po’ di quella luce antica e darle nello stesso tempo un po’ di ossigeno perch\u00e9 brilli di pi\u00f9. Sento questo invito, che affronto a nome della Chiesa di Roma, come uno scambio: noi abbiamo bisogno di quella radice orginaria della fede se non vogliamo morire di benessere, di materialismo, di un progresso vuoto e illusorio; loro hanno bisogno di noi e di questa nostra Chiesa di Roma per ritrovare slancio, coraggio, rinnovamento, apertura universale’. Don Andrea resta un testimone dell’ecumenismo tra l’Oriente e l’Occidente. Ed \u00e8 anche testimone e un martire del dialogo tra le religioni e tra i popoli. ‘La mia missione \u00e8 il dialogo tra le fedi’, ripeteva spesso. Sapeva che qui avrebbe incrociato sia l’ebraismo che l’islam. E scelse come missione quella di essere un ponte, proprio mentre questo mondo sembra perseguire una recrudescenza di conflittualit\u00e0. Non \u00e8 il conflitto tra civilt\u00e0 che salva, ma l’incontro franco e saldo a cui spinge l’amore cristiano. Don Andrea non aveva l’esaltazione di un fanatico ma la passione di un uomo che si lascia guidare dal Vangelo dell’amore. \u00c8 stato il Vangelo di un amore mite e senza violenza che lo ha guidato nella sua vita in Turchia. Le parole della sua ultima lettera, che hanno il sapore di un testamento, lo descrivono: ‘Il vantaggio di noi cristiani nel credere in un Dio inerme, in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere ‘signori’ della casa, a farsi ultimo per risultare il primo, in un Vangelo che proibisce l’odio, l’ira, il giudizio, il dominio, in un Dio che si fa agnello e si lascia colpire per uccidere in s\u00e9 l’orgoglio e l’odio, in un Dio che attira con l’amore e non domina con il potere, \u00e8 un vantaggio da non perdere. \u00c8 un ‘vantaggio’ che pu\u00f2 sembrare svantaggioso e perdente, e lo \u00e8, agli occhi del mondo, ma \u00e8 vittorioso agli occhi di Dio e capace di conquistare il cuore del mondo. Diceva san Giovanni Crisostomo: ‘Cristo pasce agnelli, non lupi’. Se ci faremo agnelli vinceremo, se diventeremo lupi perderemo. Non \u00e8 facile, come non \u00e8 facile la croce di Cristo, sempre tentata dal fascino della spada’ Ci sar\u00e0 chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come cristiano, sale nella minestra, lievito nella pasta, luce nella stanza, finestra tra muri innalzati, ponte tra rive opposte, offerta di riconciliazione?’. Sono parole che non dobbiamo smarrire. Soprattutto in quest’ora dobbiamo raccoglierle e conservarle perch\u00e9 bagnate dal suo sangue, dalla sua testimonianza martiriale. L’eco straordinaria che ha avuto la sua morte ha mostrato il bisogno che tutti abbiamo di parole come queste, di una sensibilit\u00e0 come questa. In esse c’\u00e8 l’eco di tutto il Vangelo. E la sua vita \u00e8 stata riassunta dalla sua morte martiriale. Era in preghiera, con la Bibbia aperta tra le mani, mentre venne colpito. \u00c8 l’icona che don Andrea, o meglio che il Signore lascia a ciascuno di noi, che lascia alla Chiesa diocesana di Roma e che resta come un dono preziosissimo a questa terra che resta crocevia di culture, di civilt\u00e0, di fedi. La morte di don Andrea \u00e8 una di quelle testimonianze che scende nel profondo della storia e la muove verso il regno di pace, di giustizia e di amore che ha mosso i suoi primi passi proprio di qui, da questa terra e che ha irrorato le innumerevoli strade di questo nostro mondo.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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