{"id":6334,"date":"2007-12-14T00:00:00","date_gmt":"2007-12-14T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=6334"},"modified":"2007-12-14T00:00:00","modified_gmt":"2007-12-14T00:00:00","slug":"si-come-rota","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/si-come-rota\/","title":{"rendered":"S\u00ec come rota"},"content":{"rendered":"

Quale canto sceglier\u00e0, stavolta? Dopo l’exploit dell’apertura del ciclo televisivo ‘Benigni legge Dante’, con quella trepida rivisitazione del V canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca, io mi aspettavo che fosse la volta di Ugolino, o di Ulisse, o di Farinata; e mi apprestavo a immergermi in quella tempesta di ‘r’ che scandiscono il ruggito della vendetta del Conte, un bestiale arrotarsi dei denti sul teschio (‘Quand’ebbe detto ci\u00f2, con li occhi torti \/\/ riprese ‘l teschio misero co’ denti \/\/ che furo all’osso come d’un can forti’); o a lasciarmi contagiare da quella giovanilissima tensione senile alla conoscenza dell’inconoscibiule che port\u00f2 l’uomo di Itaca a sfracellarsi contro la montagna del Purgatorio; o a stringermi nelle spalle, smarrito come Dante, di fronte alla passione politica di Farinata, che travalica la morte e mette in secondo piano la stessa pena dell’inferno. Niente di tutto questo: Benigni, come fece nel dicembre del 2002, ha scelto ancora il canto XXXIII del Paradiso; il canto la cui materia sembrerebbe la meno idonea a suscitare quella vibrazione sentimentale che \u00e8 l’anima della poesia; il canto la cui trama potenzialmente sembrerebbe la meno disponibile a lasciarsi imbrigliare in quell’ordito di immagini senza le quali la ‘oesia non decolla. Quando insegnavo, non l’avevo mai prediletto, quel canto; ‘l machete di Benedetto Croce (‘Il Paradiso di Dante non \u00e8 poesia, \u00e8 solo teologia versificata’!) aveva castrato anche le mie capacit\u00e0 di comprensione; su quel canto, a scuola, glissavo, se potevo. Ma mi sono reso conto che il nostro Folletto di genio aveva ragione lui, quando si \u00e8 chiesto chi \u00e8 quella fisionomia umana che, al vertice di tutta la sua ascesa esaltante, Dante intravede nel secondo dei ‘tre giri \/\/ di tre colori e d’una contenenza’, che promanano ‘l’un dall’altro come iri da iri’. La Trinit\u00e0. Il Vertice Assoluto. E la riposta per me era scontata: quello iscritto nel secondo dei tre cerchi era il volto umano di Ges\u00f9. Ma l’ex Palymaker di Televacca m’ha bacchettato sulle dita: Zuccone! Dante non ha detto che quello \u00e8 Il volto di Ges\u00f9, ha detto che il secondo dei tre Cerchi Sublimi ‘mi parve pinto della NOSTRA EFFIGE’: nel cuore di Dio c’\u00e8 LA NOSTRA EFFIGE! ‘Nostra’: di chi? Di Cristo, certo! Innanzitutto di Cristo. Ma NOSTRA. Anche mia, tua sua, del Pigmeo tostato dal sole africano, dell’Esquimesi seccato dal gelo come uno stoccafisso. Benigni era come in trance, quando insisteva’su questo punto (‘Siamo noi! Insieme con Lui ci siamo noi, NOI: io, tu’ loro! Tutti!!’). Dava fuori da matto. Tutti. Anche Meredith. Anche Amanda. Tutti. Teologia e antropologia coincidono, si sovrappongono: eccola, la sua grande intuizione. Il moto dei cieli coincide perfettamente col moto dell’animo umano. ‘S\u00ec come rota ch’igualmente \u00e8 mossa’. Karl Rahner: ‘Ogni affermazione teologica ha la sua verifica in una corrispondente affermazione antropologica’. L’uomo, misura di Dio. Questo ci ha riproposto, conquistandoci ancora una volta, la verve straripante di questo adolescentone toscano impenitente. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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