{"id":5892,"date":"2007-05-25T00:00:00","date_gmt":"2007-05-25T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=5892"},"modified":"2007-05-25T00:00:00","modified_gmt":"2007-05-25T00:00:00","slug":"la-sindrome-dello-sconfitto","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/la-sindrome-dello-sconfitto\/","title":{"rendered":"La sindrome dello sconfitto"},"content":{"rendered":"
L’ho chiamato cos\u00ec, nel colloquio con un amico, quel particolare stato d’animo che mi ha aggredito una manciata di giorni or sono: ‘La sindrome dello sconfitto’. Causata da che cosa? Pi\u00f9 che di ’cause’ bisognerebbe parlare di ‘occasioni’, e subito si sgonfia l’annunciata drammaticit\u00e0 di quella domanda (‘Causata da che cosa?’). Una volta che hai appurato che la Fenice di Venezia prese fuoco perch\u00e9 le travi erano tarlate, i tendaggi non erano in tessuto antincendio, gli estintori avevano gi\u00e0 dato pessima prova di s\u00e9 durante l’incendio di Troia, ecc.: ebbene, quale interesse vuoi che conservi la domanda sulla marca del cerino che ha ‘causato’ l’incendio? Cerco di spiegarmi, amico lettore. La psicosi del reduce si aggira da anni nei meandri della mia (modesta) massa grigia. Ho creduto a lungo di combattere una guerra sacrosanta con in mano un bazooka, successivamente ho dovuto supporre che si trattasse solo di un fucile anteguerra, che poi s’\u00e8 rivelato essere una colt alla Jessy James, arrugginita come il mito del suo titolare, e infine ha assunto la sua vera identit\u00e0: uno schioppetto di sambuco caricato a palle di stoppa. Fuor di metafora. L’approccio della mia adesione al Vangelo \u00e8 sempre e soltanto dall’angolazione dell’emarginazione. Definitivo, da quando per la prima volta presi parte ad un’assemblea della Comunit\u00e0 di Capodarco, nel paesino omonimo, il 30 giugno 1970. Ero in crisi. Forse avrei presto abbandonato baracca e burattini. Il Concilio era finito da cinque anni e mi sembrava che la Chiesa avesse gi\u00e0 innestato la marcia indietro. Forse avrei lasciato anche io il sacerdozio, come diversi dei miei amici migliori. Forse avrei usato la distinzione fra Chiesa istituzionale e Chiesa del Vangelo come Sergej Bubka con l’asta di bamb\u00f9: per andare oltre i 6 metri del ridicolo assoluto. Ma quei ragazzi! In quel 30 giugno 1970. Erano pi\u00f9 di cento, gravemente handicappati la gran parte, per\u00f2 non parlavano di handicap, ma di emarginazione: l’handicap \u00e8 quello che \u00e8, l’emarginazione \u00e8 la conseguenza dell’handicap, resa ‘fatale’ dalla nostra superficialit\u00e0. Non pativano sulla loro condizione. Non intendevano organizzare feste dell’amicizia, giornate del malato col ciuccio in bocca, o simili ‘imprese’. Discutevano di giustizia sociale. Discutevano di Chiesa dei poveri. Impegnatissimi. Presuntuosi, maleducati anche. Ma vivi. La partecipazione a quell’assemblea fu la prima delle cause remote della mia sindrome odierna. Ne uscii convinto che un handicappato \u00e8 sempre e comunque, automaticamente, un liberatore, un promotore di giustizia e di solidariet\u00e0, un Cristiano che all’amore di Dio pu\u00f2 conferire (come nessun altro pu\u00f2 fare) quell’altra faccia, l’amore per il prossimo, che autentica la prima e a sua volta ne viene autenticata. Automaticamente. Non era vero. Fu duro prenderne coscienza. Durissimo. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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