{"id":5501,"date":"2006-11-10T00:00:00","date_gmt":"2006-11-10T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=5501"},"modified":"2018-01-03T19:55:08","modified_gmt":"2018-01-03T17:55:08","slug":"un-consiglio-disinteressato","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/un-consiglio-disinteressato\/","title":{"rendered":"Un consiglio disinteressato"},"content":{"rendered":"

Un refuso tipografico ha reso incomprensibile e insipido il finalino dell’ultima abat jour, su ‘La Voce’ del 3 novembre. L’amabile lettore ha letto: Ne \u00e8 passato di tempo da quando il mio don Lorenzo, dopo avere frettolosamente assolto un penitente, alzandosi lui dalla sedia mentre il suo pollo si alzava dall’inginocchiatoio, gli pest\u00f2 un piede’ appena un istante di esitazione, poi, vis \u00e0 vis, gli afferr\u00f2 con la sinistra il braccio destro e con la destra gli re-impart\u00ec l’assoluzione. Pi\u00f9 tardi si giustific\u00f2: ‘Il dolore c’era, ch\u00e9 il piede glielo avevo pestato io!’ Ne \u00e8 passato del tempo. Ma non abbastanza. Manca qualcosa. Manca, dopo ‘gli pest\u00f2 un piede’, la notizia che, almeno nelle intenzioni del suo autore, insaporisce l’aneddoto: ‘E quello cacci\u00f2 un moccolo’. Excuse me. Forse non \u00e8 un refuso tipografico, forse sono le mie cellulline che, contrariamente a quella dell’immortale Poirot, fanno fatica a mettersi in fila, come i bambini della Montessori. Lo siento.Il mio don Lorenzo. Quando mor\u00ec, alla met\u00e0 degli anni ’80, e il vescovo Antonelli, immediatamente prima della liturgia di commiato, mi chiese a bruciapelo di ‘dire due parole’ su di lui, ci provai ma non ci riuscii. Un groppo alla gola me lo imped\u00ec. Eppure la sua vita di fedelissimo servitore del Vangelo era stata costellata da aneddoti frizzanti. Un giorno, dopo aver preparato splendidamente l’altare maggiore delle Quarant’ore, in un tripudio di candele variamente luminose e di fiori policromi, recit\u00f2 tante di quelle preghiere, inton\u00f2 tanti di quei canti’ da dimenticare il Santissimo esposto al centro di quella gloria: la benedizione eucaristica ce l’impart\u00ec con la pisside. In sacrestia: ‘Don Lor\u00e8, e quello lass\u00f9 ve lo sete scordato?’. Si affacci\u00f2 sulla porta della chiesa. Una boccaccia. ‘Esci pacenza, ch\u00e9 ‘l sistemamo subito!’ I canti. Don Lorenzo era vagamente stonato, un po’ come Renzo Arbore, ma ci insegn\u00f2, a noi bambini e alle nostre mamme, una moltitudine di canti incredibile. Anche in latino. Te Joseph celebrent agmina coelitum, te cuncti resonent Christiadum chori; l’inno del breviario a san Giuseppe; me lo porto dentro, con tutte le sue sdrucciole, da poco meno di 60 (!?) anni. Quando, nel 1953, venne in visita al Regionale di Assisi, dove i seminaristi di Scheggia eravamo 5 (cinque!), si ferm\u00f2 a bocca aperta davanti al bellissimo presepio che avevamo allestito; gli piacquero particolarmente i due angeli in trasparenza, collocati a destra e a sinistra della scena madre, che apparivano solo se si inseriva nell’apposita fessura una monetina. Don Lorenzo inser\u00ec tutte la monetine che aveva. Poi, con il borsellino desolatamente vuoto in mano, si rivolse al Bambinello, con la solita boccaccia, e gli forn\u00ec il consiglio disinteressato che riteneva pi\u00f9 utile per il percorso che stava iniziando: ‘Del resto, fijo mio, tutto ‘l mondo \u00e8 ‘na fregatura’. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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