{"id":54396,"date":"2019-04-15T10:22:57","date_gmt":"2019-04-15T08:22:57","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=54396"},"modified":"2019-04-12T13:27:55","modified_gmt":"2019-04-12T11:27:55","slug":"quella-sera-quella-scritta","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/quella-sera-quella-scritta\/","title":{"rendered":"Quella sera, quella scritta"},"content":{"rendered":"

Dal giugno 1970, subito dopo i Campionati mondiali di calcio vinti dal Brasile di Pel\u00e8 sull\u2019Italia di Gigi Riva, con i ragazzi della seconda generazione del Movimento studenti eugubino (Vinicio Cacciamani, \u2019l Gige Lanuti, Renato Rogari, Paolo Lilli, l\u2019infaticabile Lucio Lauri, e Leonardo, suo fratello faticabilissimo) per tutta l\u2019estate c\u2019immergemmo in Capodarco, campi di lavoro uno in fila all\u2019altro. L\u2019ultimo fu quello dell\u20191-4 novembre.<\/span><\/p>\n

Ci avevano chiamato per realizzare la piattaforma in cemento sulla quale oggi sorge la grande sala del refettorio. Andammo, un pullmino. I ragazzi lavorarono sodo, la betoniera gir\u00f2 da mane a sera, l\u2019impasto di cemento prese rapidamente a occupare lo spazio dovuto, ma la sera del 3 novembre ci rendemmo conto che con l\u2019unica giornata che rimaneva non ce l\u2019avremmo fatta a finire la gettata. <\/span><\/p>\n

\u201cVuol dire che domattina cominciamo alle 4!\u201d. Detto, fatto. Ci alzammo alle 3.30, alle 4 la betoniera riprese a girare, anche durante i pasti. Alla sera la gettata era completa. Cenammo verso le 10. Poi partimmo per Gubbio, sul pullmino che ci aveva procurato il dr. Alessandro, il padre di Alfonso e di Paolo. Dormivano tutti, tranne io e l\u2019autista. L\u2019autista guidava, io pensavo.<\/span><\/p>\n

Pensavo a una vita alternativa della quale fino ad allora non avevo nemmeno sospettato l\u2019esistenza. Sentivo crescere dentro di me il desiderio di venire a far parte di quella grande famiglia. Mi pareva che i miei primi dieci anni di sacerdozio fossero stati, se non sprecati, perlomeno sotto-utilizzati. Mi pareva che a Capodarco proprio non mancasse nulla per una vita degna di Colui che della convivenza e della condivisione con noi ha fatto il perno della sua presenza tra noi. <\/span><\/p>\n

Come in un film, mi scorreva innanzi la parte disabile di quella famiglia: chi pendeva a destra, chi pendeva a sinistra, chi si reggeva a fatica sulle canadesi, chi si muoveva solo grazie al girello, chi respirava solo intubato. Ma nessuno piativa sulla propria condizione, nemmeno un po\u2019; non parlavano di handicap, parlavano di emarginazione. Non si piangevano addosso. <\/span><\/p>\n

Ragionavano su come avrebbero potuto cambiare il mondo, far s\u00ec che la Chiesa fosse finalmente ci\u00f2 che aveva promesso che sarebbe stata. Ci\u00f2 che di lei aveva detto colui al quale era intitolata la loro casa, Papa Giovanni: \u201cLa Chiesa \u00e8 di tutti, e soprattutto la Chiesa dei poveri\u201d.<\/span><\/p>\n

Che tu sia handicappato, perch\u00e9 sei nato con un cromosoma per traverso, e perch\u00e9 un tuffo sbagliato ti ha lesionato vertebre importanti\u2026 \u00e8 successo, \u00e8 un fatto, un evento, che ci vuoi fare? Ribellarsi non serve. Quello contro cui non solo<\/span> puoi , ma<\/span> devi ribellarti \u00e8 l\u2019emarginazione nella quale ti hanno relegato in seguito a quell\u2019evento.<\/span><\/p>\n

Era fatta. Mi addormentai anch\u2019io, mentre il pullmino correva veloce. E credetti di vedere sul vetro di fondo alla vettura una scritta luminescente.<\/span> Una Chiesa che, in prima fila, non si prende cura degli ultimi, \u00e8 solo una congrega di buontemponi<\/em>.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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