{"id":50498,"date":"2017-11-10T16:35:49","date_gmt":"2017-11-10T14:35:49","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=50498"},"modified":"2018-01-26T20:39:03","modified_gmt":"2018-01-26T18:39:03","slug":"dati-della-banca-ditalia-sulleconomia-umbra","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/dati-della-banca-ditalia-sulleconomia-umbra\/","title":{"rendered":"Economia umbra in picchiata: come invertire la rotta"},"content":{"rendered":"
L\u2019Umbria, dal punto di vista dei risultati economici, fa ormai parte del \u201cSud\u201d del Paese.<\/p>\n
Questo \u00e8 quanto emerge dalla fotografia fornita dai dati sulle economie regionali della Banca d\u2019Italia. Il reddito medio degli umbri nel 2015 (pari a 23.700 euro) \u00e8 non solo il pi\u00f9 basso di tutto il Centro-Nord (la cui media \u00e8 di 31.900 euro) ma \u00e8 rimasto indietro anche rispetto a quello medio nazionale (27.000 euro) e a quello di una regione considerata a tutti gli effetti del Sud come l\u2019Abruzzo (24.200 euro). Non \u00e8 una novit\u00e0 di oggi il ritardo dell\u2019Umbria. Era gi\u00e0 ben visibile molto prima della crisi. Gi\u00e0 da tanti anni gli osservatori pi\u00f9 attenti avevano lanciato l\u2019allarme di una produttivit\u00e0 pericolosamente stagnante. Ma con la crisi iniziata nel 2007-2008 il ritardo \u00e8 diventato una voragine, che a questo punto non sar\u00e0 facile richiudere.<\/p>\n
L\u2019impoverimento degli umbri ha innanzitutto una spiegazione \u201c quantitativa\u201d , dovuta al fatto che con la crisi si sono persi molti posti di lavoro. Ancora nel 2015 l\u2019Umbria ha perso, in percentuale, pi\u00f9 occupazione di tutte le altre regioni del Paese. E questa perdita ha riguardato tutti i settori. Pertanto anche il tasso di disoccupazione rimane a un livello elevato, pari quasi al 10%. Ma ha anche una spiegazione \u201cqualitativa\u201d , ancora pi\u00f9 importante di quella quantitativa: la gran parte dei posti di lavoro esistenti, e anche la gran parte di quelli che le imprese hanno creato in questi ultimi anni, sono all\u2019interno di attivit\u00e0 a basso o medio contenuto tecnologico, quindi lontani dall\u2019\u201ceconomia della conoscenza\u201d e dai processi che valorizzano il lavoro qualificato, che producono innovazioni e generano sviluppo. In Umbria il 63,8% dei nuovi posti di lavoro previsti dalle imprese sono di livello mediobasso, una percentuale peggiore di ogni altra regione. Un profilo mediocre che l\u2019Umbria condivide con Marche e Toscana, ma che nella nostra regione determina conseguenze particolarmente gravi. \u00c8 questo deficit qualitativo la lente pi\u00f9 utile a comprendere il declino economico dell\u2019Umbria.<\/p>\n
Volendo indicare sinteticamente i fattori all\u2019origine di questo stato di cose, si possono ridurre a due: un sistema economicoe imprenditoriale con tratti strutturali deboli, e un orientamento delle politiche , a partire da quelle regionali, sbagliato e dannoso. Ci\u00f2 che risulta evidente a chiunque, a questo punto, \u00e8 che serve un drastico cambio delle politiche pubbliche, cos\u00ec come una consapevolezza e un\u2019assunzione di responsabilit\u00e0 nuova da parte di tutti i soggetti, imprenditoriali, sindacali, culturali, che a diverso titolo concorrono alla definizione di tali politiche e sono in grado, per la loro parte, di orientare l\u2019economia regionale o parti (settori o territori) di essa. Alcuni settori del laicato umbro, a partire dall\u2019Azione cattolica, hanno offerto contributi di analisi e di discernimento in questa direzione. Vale la pena di ricordare, in particolare, la pubblicazione, qualche anno fa, del volume dedicato alla crescita dell\u2019Umbria intitolato Poliarchia e bene comune (a cura di Silvia Angeletti e Giorgio Armillei per il Mulino).<\/p>\n
Tuttavia da parte della Chiesa, nelle sue varie componenti, sono mancate riflessioni e un esercizio di discernimento diffuso, \u00e8 mancato un richiamo alle responsabilit\u00e0 proprie di chi esercita un potere nella vita politica, economica o culturale di fronte alla gravit\u00e0 della situazione, assecondando di fatto la deriva che ha portato l\u2019Umbria a impoverirsi e a veder svilito il proprio potenziale di crescita.<\/p>\n
Tra le priorit\u00e0 da affrontare vi \u00e8 la necessit\u00e0 di potenziare il ruolo dei poli urbani, a partire da quelli di Perugia e Terni, facendone centri attrattivi di risorse qualificate in una molteplicit\u00e0 di campi, da quelli della tecnologia a quelli delle attivit\u00e0 del tempo libero, da quelli creativi a quelli della formazione, capaci di assorbire e diffondere innovazione e di migliorare la qualit\u00e0 dei servizi. A questo scopo \u00e8 vitale far uscire la mobilit\u00e0 , tanto quella tra Perugia e Terni quanto quella dei due capoluoghi verso l\u2019esterno, dalla situazione attuale, ormai \u201cpreistorica\u201d, verso standard europei. L\u2019 Universit\u00e0 , da parte sua, \u00e8 chiamata a riprendersi il ruolo che le compete coltivando l\u2019ambizione di dar vita a un polo del sapere e della formazione universitaria del centro Italia di livello europeo. Lo si pu\u00f2 fare ricercando sinergie con altri atenei delle regioni del Centro. C\u2019\u00e8 poi bisogno che la politicaindustriale si liberi finalmente della funzione impropria di ammortizzatore sociale a cui \u00e8 stata sacrificata fino a oggi, per divenire leva per la crescita di attivit\u00e0 manifatturiere e terziarie qualificate. A questo proposito, \u00e8 auspicabile che le imprese approfittino delle opportunit\u00e0 dei programmi di \u201cindustria 4.0\u201d per generare una forte domanda di servizi specializzati. E le politiche pubbliche hanno l\u2019occasione per facilitare la crescita di nuclei importanti di servizi avanzati alle imprese, facendone i centri dinamici delle nuove economie urbane.<\/p>\n
Ultimo, ma non per importanza, il settore complessivo dellasanit\u00e0, principale voce della spesa pubblica regionale e servizio di primaria importanza per una popolazione che invecchia, deve essere potenziato ricercando qualit\u00e0 ed efficienza.<\/p>\n
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