{"id":50486,"date":"2017-11-12T10:00:38","date_gmt":"2017-11-12T08:00:38","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=50486"},"modified":"2017-11-08T18:10:27","modified_gmt":"2017-11-08T16:10:27","slug":"santuario-no-nemmeno-sagrestia","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/santuario-no-nemmeno-sagrestia\/","title":{"rendered":"Santuario, no. Ma nemmeno sagrestia?"},"content":{"rendered":"

Volontariato. Il mio pessimismo ha dovuto ricredersi quando ho visto il consuntivo di una festa patronale. Mammamia, quanta gente ci lavora gratuitamente! Per\u00f2, per\u00f2\u2026 di mezzo c\u2019\u00e8 la tradizionale, robusta \u201cmagnata\u201d, che i \u201cvolontari\u201d non disdegnano: come fine o come mezzo? Poi invece quel volontariato vero, del quale lamentavo la latitanza, l\u2019ho trovato alla periferia di Gubbio, al Coppiolo, sotto il mattatoio, nell\u2019Aratorio familiare. Nel segno della solidariet\u00e0, con l\u2019impegno gratuito di tanti volontari, giovani e soprattutto adulti, l\u2019Aratorio da un grande orto (un ettaro di terra), concimato al naturale con letame e micro-organismi, terreno concesso dal Capitolo dei canonici della cattedrale, ricava primizie da vendere e regalare a chi ha bisogno. \u201cUna missione che porta con s\u00e9, nel lavoro quotidiano, anche l\u2019educazione dei figli, la riscoperta di certi buoni princ\u00ecpi per le giovani generazioni, il ritorno alle origini dell\u2019uomo e al valore della terra\u201d. Bellissimo. Ma basta questo perch\u00e9 il vescovo Ceccobelli definisca l\u2019Aratorio familiare \u201cil vero santuario della carit\u00e0 per la diocesi di Gubbio\u201d. E Capodarco? \u00c8 solo la sagrestia del santuario? Nel 2004, la mattina dopo il suo ingresso in diocesi, il neo-vescovo Ceccobelli venne a farci visita. Poi torn\u00f2 sempre puntualmente. Una volta all\u2019anno. Ma allora non siamo nemmeno la sagrestia! Amabile lettore, permettimi di spiegarmi, nelle prossime abat jour – prima che (il 3 dicembre) don Luciano, il nuovo vescovo di Gubbio, si sia insediato in questa nostra diocesi, che sar\u00e0 anche e soprattutto la sua – spiegarmi sul perch\u00e9, se nascessi di nuovo, se di nuovo il Maestro mi volesse tra i suoi preti, sceglierei di vivere ancora e sempre nella Comunit\u00e0 di Capodarco.<\/p>\n

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Nella seconda met\u00e0 degli anni \u201960 del secolo scorso i miei ragazzi del Movimento studenti eugubino e io eravamo in cerca di una qualche iniziativa ricca di significato alla quale dedicare una o pi\u00f9 quindicine delle nostre vacanze. Uno di loro m\u2019aveva procurato un numero recente del Corriere della sera dove, in quella terza pagina che allora era la pagina della cultura, un grande giornalista parlava a lungo dell\u2019esperienza d\u2019una settimana che aveva fatto in primavera a Capodarco di Fermo, con soggetti disabili gravi. Era Giuliano Zincone, fratello del direttore del \u201cCorrierone\u201d Vittorio Zincone. Di quell\u2019esperienza Zincone era rimasto entusiasta, ne parlava in termini pi\u00f9 spesso epici che elegiaci; ma concludeva che non sarebbe arrivata al Natale (in meneghino puro: \u201cMangia minga el Panat\u00f9n!\u201d). 30 giugno 1970. Con la mia Citroen color cacca raggiungo Capodarco. M\u2019affaccio e ricevo una mazzata da stordire un toro.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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