{"id":47144,"date":"2016-08-03T13:00:02","date_gmt":"2016-08-03T11:00:02","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=47144"},"modified":"2018-07-20T16:45:29","modified_gmt":"2018-07-20T14:45:29","slug":"abat-jour-riscoprire-lamerica","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/abat-jour-riscoprire-lamerica\/","title":{"rendered":"Abat jour – Riscoprire l’America"},"content":{"rendered":"
\"Don<\/a>
Don Angelo Fanucci<\/figcaption><\/figure>\n

La gioiosa circostanza della presenza di Papa Francesco fra noi rinfocola la mia convinzione che la difficile accoglienza dei migranti che premono e premeranno a lungo alla nostra porta si risolver\u00e0 in una forte iniezione di giovinezza per la nostra stanca civilt\u00e0. Come allora, nel 1945\/46, quando a Dresda come a Scheggia riuscimmo a rilanciarci quando ormai avevamo toccato il fondo.
\nE dallo sgabuzzino della mia memoria riemerge l\u2019ennesimo di quei ricordi, \u2026Cristoforo Colombo. S\u00ec, perch\u00e9 a Scheggia la vitalit\u00e0 che sprizzava ovunque ebbe il suo clou nella messo in scena di una operetta sui generis, La scoperta dell\u2019America<\/em>.
\nL\u2019America reale l\u2019andavamo scoprendo con gli aiuti dell\u2019UNRRA<\/em>: ogni giorno alle 11, sull\u2019unica via asfaltata,\u2002 la Flaminia, arrivava il\u2002 pulmann\/dromedario Roma-Rimini; sul tetto una montagna di beni alimentari, destinati a far tacere lo stomaco di gente stufa di sentirlo gridare da troppo tempo.
\nL\u2019America dei nostri sogni invece, quella patria del benessere della quale durante il triste ventennio si poteva parlare solo sotto voce, venne musicata e messa in scena nel teatrino di Scheggia.
\nRegista e direttore d\u2019orchestra era mio fratello Bruno. Da seminarista, nel Seminario Regionale di Assisi, che avrebbe dovuto\u2002 lasciare per malattia, Bruno aveva imparato a suonare l\u2019armomium e insieme con un gruppo di compagni estrosi come lui aveva partecipato, sotto la direzione del Vicerettore don Dino Tomassini, alla stesura di un\u2019operetta di celebrazione del nuovo mondo.
\nParole nuove su musiche note a tutti. Da \u201cFirenze sogna\u201d, puta caso (\u201cSull\u2019Arno d\u2019argento \u2026): La chiromante,\/\/ guardandomi le piante, \/\/ mi disse dolcemente \/\/ un giorno lontan: \/\/un regno avrai \/\/ pi\u00f9 esteso di ogni mare, \/\/dove il sole potr\u00e0 mai \/\/ alla sera tramontare.<\/em>
\nAll\u2019orchestra partecipavano, dopo essersi garantiti, provando insieme, da eventuali \u201cstecche\u201d, tutti coloro che avevano avuto una qualche familiarit\u00e0 col clarinetto, o con il sax, o con il bombardino.
\nProtagonisti: per Colombo il tenore Guglielmo Fanucci detto Memmo, di professione calzolaio e custode del cimitero; regina il mezzosoprano Angela (Lisandrelli?), di professione sarta; come personaggio rompiscatole il basso, Danilo (Lisandrelli\u2002 lui pure?), di professione calzolaio semplice.
\nOdd\u00eco, sul piano antropologico quel manipolo di artisti veri non era aggiornato. Non per nulla, in attesa dell\u2019entrata in scena di Colombo, il coro degli indiani cantava: O Colombo, Colombo, \/\/ noi siamo stufi d\u2019aspettare: \/\/da gran tempo siamo barbari, \/\/ ci vogliam civilizzar!<\/em>
\nAltro non ricordo, se non il successo travolgente dell\u2019iniziativa e l\u2019alto numero di repliche che ne vennero richieste. E questo quando ancora le truppe alleate risalivano verso il nord solo a grande fatica, perch\u00e9 tutti ponti erano stati distrutti, compreso il Ponte a Botte.
\nRiscoprire l\u2019America, rimettere al centro l\u2019accoglienza: un\u2019ottima chance per rilanciare l\u2019Italia, e l\u2019Europa. Ci riuscimmo allora. Perch\u00e9 non dovremmo riuscirsi oggi?<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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