{"id":4556,"date":"2005-06-24T00:00:00","date_gmt":"2005-06-23T22:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=4556"},"modified":"2015-07-27T12:37:13","modified_gmt":"2015-07-27T10:37:13","slug":"il-discepolo-e-gli-affetti","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/il-discepolo-e-gli-affetti\/","title":{"rendered":"Il discepolo e gli affetti"},"content":{"rendered":"
Prosegue la lettura del discorso di Ges\u00f9 ai discepoli che prende il decimo capitolo del Vangelo di Matteo<\/em>. La proclamazione liturgica omette tre versetti (Mt<\/em> 10,34-36) che per\u00f2 sarebbero stati utili per inquadrare anche l’argomento di oggi: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”. Da una situazione che \u00e8 quella della missione e delle persecuzioni ad essa connesse, si \u00e8 passati ad un registro diverso, quello familiare. Il campo semantico delle parole che incontriamo nella nostra pericope \u00e8 infatti quello delle relazioni parentali, della casa, addirittura quello del bicchiere d’acqua che immaginiamo venga preso alla fonte o versato da una brocca in una cucina’ Dietro il lessico del quotidiano vi \u00e8 per\u00f2 nascosto un altro tema: quello della sofferenza degli affetti.<\/p>\n Questi sempre portano con s\u00e9 una dose di prove e di tensioni (basti ricordare l’ammonimento di Proverbi 10,1: “Il figlio saggio rende lieto il padre; il figlio stolto contrista la madre”), ma qui si sta dicendo un’altra cosa, e cio\u00e8 che gli affetti devono essere “ordinati”, anche gerarchicamente. Certo, si potrebbe obiettare che al cuore “non si comanda”, ma nella logica del Regno tutto \u00e8 diverso: “In realt\u00e0, si d\u00e0 un superamento dei legami familiari nell’amore per il Messia. Il verbo usato per amare (il padre o la madre, il figlio o la figlia) \u00e8 quello che designa l’amore naturale (phil\u00e9o<\/em>), non quello teologale (agap\u00e8o<\/em>). L’amore paterno, fraterno, filiale, dev’essere trasceso dalla dilezione divina che si \u00e8 manifestata nel Messia” (A. Mello). Questo ovviamente non significa alcuna mancanza di rispetto per i genitori, che hanno dato la vita ai figli, anzi.<\/p>\n Il detto di Ges\u00f9 del v. 37, “Chi ama il padre o la madre pi\u00f9 di me non \u00e8 degno di me”, non pu\u00f2 essere messo in opposizione con quanto ancora Ges\u00f9 dice spiegando i comandamenti, in Mt<\/em> 15,4: “Dio ha detto Onora il padre e la madre, e inoltre Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte”! Quelle che contano, sono le priorit\u00e0: il verbo ebraico che dice “onorare” (kabed<\/em>) porta in s\u00e9 una radice che \u00e8 quella del “peso”, della “pesantezza”, come a dire che la storia personale, quella del proprio passato, della famiglia di origine, dei propri genitori, tutto questo ha un forte peso nella vita dei figli, e tutto ci\u00f2 lascer\u00e0 sempre un segno. Il nostro verbo dice anche che ai genitori vanno date le cose che a loro spettano, e che solo i figli possono dare: quelle materiali (nella tradizione giudaica del Talmud ci si domanda cosa significhi l’onorare Dt<\/em> 5,16: “Provvedere cibo e dare da bere ai propri genitori, procurare loro i vestiti, portarli fuori e riportarli dentro”, B.Qid. 31b), ma soprattutto quelle spirituali: l’amore, l’aiuto, la propria presenza nei momenti della solitudine. Tutto questo per\u00f2 richiede di essere pesato, perch\u00e9 venga dato il giusto peso, non di pi\u00f9, e non di meno: anche i doveri verso i propri genitori devono essere rapportati alle esigenze del Regno.<\/p>\n Il Vangelo continua su quello che il discepolo \u00e8 chiamato a fare per seguire Ges\u00f9; dopo aver ordinatamente pesato gli affetti, deve ora prendere la propria croce. Alcuni studiosi ritengono che abbiamo qui un anacronismo di Matteo (l’annuncio della passione si trova solo Mt<\/em> 16,21) che si spiega facilmente: Ges\u00f9 ha certamente parlato durante il suo ministero della propria morte, ma probabilmente non nei dettagli che qui emergerebbero, e che invece sono chiariti solo dopo la Pasqua (quando il Vangelo viene scritto – molto tempo dopo che gli avvenimenti l\u00ec narrati, compresa la morte di croce – sono accaduti).<\/p>\n Ma il senso \u00e8 chiaro: prendere la propria croce significa accettare che come Ges\u00f9 ha sofferto per il Regno, cos\u00ec il discepolo sia chiamato a ripercorrere le sue orme. Segue il detto del v. 39 (“Chi avr\u00e0 trovato la sua vita, la perder\u00e0: e chi avr\u00e0 perduto la sua vita per causa mia, la trover\u00e0”), che \u00e8 il pi\u00f9 citato di tutte le parole di Ges\u00f9 (compare 6 volte nei vangeli): “senza dubbio \u00e8 quello che caratterizza meglio il suo insegnamento (cfr. 16,25). La vita non \u00e8 un tesoro da rapire o da custodire gelosamente: essendo un dono, non si pu\u00f2 ottenere che donandola” (Mello). \u00c8 forse interessante notare che in greco la parola psyche<\/em> significhi “vita” ma anche “anima”: perdere la vita per il Regno non \u00e8 forse da tutti (per i martiri, s\u00ec), ma il senso, l’anima della propria esistenza \u00e8 senz’altro costituito, dice Ges\u00f9, dalla relazione che si ha con Lui.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" Prosegue la lettura del discorso di Ges\u00f9 ai discepoli che prende il decimo capitolo del Vangelo di Matteo. 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