{"id":4526,"date":"2005-06-10T00:00:00","date_gmt":"2005-06-10T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=4526"},"modified":"2015-06-29T15:28:20","modified_gmt":"2015-06-29T13:28:20","slug":"la-messe-e-molta","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/la-messe-e-molta\/","title":{"rendered":"La messe \u00e8 molta"},"content":{"rendered":"
“Vedendo le folle, Ges\u00f9 ne sent\u00ec compassione”: i vangeli riportano diverse volte questo atteggiamento di Ges\u00f9 nei confronti del suo popolo. Troviamo, nel Primo Vangelo, la stessa espressione in altre due occasioni, prima dei miracoli della moltiplicazione dei pani, in 14,14 (“‘vide una grande folla e sent\u00ec compassione per loro e guar\u00ec i loro malati”) e in 15,32 (“Ges\u00f9 chiam\u00f2 a s\u00e9 i discepoli e disse: Sento compassione di questa folla”).<\/p>\n
Al centro di questi versetti c’\u00e8 il verbo splanchn\u00e8zomai<\/em> (impietosirsi, commuoversi), usato da Matteo anche per indicare in una parabola la commozione del padrone nei confronti del servo che ha con lui un enorme debito (18,27: “Impietositosi del servo, il padrone lo lasci\u00f2 andare e gli condon\u00f2 il debito”), e – sempre con Ges\u00f9 come soggetto – per introdurre il suo miracolo di guarigione dei due ciechi di Gerico (cfr. 20,34). Questa volta per\u00f2 Ges\u00f9 non compie un miracolo, come quello di dare il pane alla folla, non guarisce i malati, non insegna qualcosa sul perdono, ma si preoccupa della folla in s\u00e9, cio\u00e8 per quello che essa rappresenta: il popolo stanco e sfinito, che non ha pastore.<\/p>\n Matteo sta parlando del suo popolo, del popolo di Israele, per il quale gi\u00e0 la Legge e i Profeti avevano utilizzato descrizioni analoghe a quelle del vangelo di oggi. Nel libro dei Numeri<\/em>, 27,17, Mos\u00e8 prega il Signore perch\u00e9 Egli “metta a capo di questa comunit\u00e0 un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perch\u00e9 la comunit\u00e0 del Signore non sia un gregge senza pastore”; il profeta Zaccaria 10,2, invece, si lamenta degli Ebrei, che a causa delle loro infedelt\u00e0 “vanno vagando come pecore, sono oppressi, perch\u00e9 senza pastore”. Triste \u00e8 non sapere dove andare, e ancora di pi\u00f9 essere abbandonati sul ciglio della strada senza poter riprendere il cammino (‘prostrate a terra’, sarebbe la resa esatta del verbo tradotto dalla Cei con “sfinite” in Mt<\/em> 9,36).<\/p>\n Cos\u00ec \u00e8 ogni uomo nel suo pi\u00f9 profondo bisogno spirituale, quando non ha un ‘centro’ nella sua vita, quando ha tutto ma non sa perch\u00e9 vive, quando \u00e8 senza punti di riferimento: peggio ancora, se ad essere cos\u00ec \u00e8 – come emerge dalle parole del vangelo di oggi – l’intero popolo di Israele da cui Ges\u00f9 proviene. Quali sono le ragioni di questa critica che non si pu\u00f2 non vedere nelle parole di Matteo? Secondo Davies e Allison abbiamo a che fare con il giudizio che l’Evangelista avrebbe nei confronti dei leader d’Israele: “gli scribi e i farisei, e gli altri uomini in posizione di responsabilit\u00e0 e potere, per Matteo non si sono comportati bene, e sono una delle cause maggiori della crisi del popolo”. Io aggiungerei anche un’altra spiegazione. Ges\u00f9 non si limita a criticare le guide della sua gente: sta esprimendo la sua coscienza di voler essere lui il pastore del suo popolo. Non basta provare compassione per qualcuno: bisogna fare qualcosa, ci si deve muovere in prima persona; ed ecco allora che per tutto il Primo Vangelo cresce l’idea che Ges\u00f9 sia un pastore per il suo popolo, un mediatore santo come Mos\u00e8.<\/p>\n Gi\u00e0 all’inizio del suo vangelo, quando ai Magi viene letta la profezia che stabilir\u00e0 Betlemme come luogo della nascita del Messia, Matteo cita il profeta Michea e scrive: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il pi\u00f9 piccolo capoluogo di Giuda: da te uscir\u00e0 infatti un capo che pascer\u00e0 il mio popolo, Israele” (Mt<\/em> 2,6). Ges\u00f9, il Messia di Israele, sempre per Matteo \u00e8 il pastore che \u00e8 stato “‘inviato alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt<\/em> 15,24; cfr. 10,6); \u00e8 lui il pastore buono che raccoglie sulle spalle la pecora smarrita (cfr. Mt<\/em> 18,12). Nel resto del Nuovo Testamento, Ges\u00f9 \u00e8 ancora “‘il pastore grande delle pecore” (Eb<\/em> 13,20).<\/p>\n La Prima lettera di Pietro<\/em> pu\u00f2 scrivere a buon titolo che “Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime”. (1 Pt<\/em> 2,25). Ges\u00f9 diventa pastore del suo popolo e chiede la preghiera perch\u00e9 altri pastori lo seguano. Il campo dove lavorare \u00e8 Israele: “Il popolo ebraico \u00e8 paragonato a un campo di spighe pronto per la mietitura, e questo si riferisce all’attesa messianica di Israele, che \u00e8 giunta a maturazione. Manca soltanto un numero adeguato di operai. Non basta, infatti, che la messe sia abbondante: occorre che il Padrone mandi operai sufficienti a raccoglierla nei granai (cfr. 3,12). Nulla va da s\u00e9: occorre sempre chiedere, pregare. Il mandato missionario nasce anche dalla preghiera, oltre che dalla compassione” (A. Mello).<\/p>\n Ecco allora perch\u00e9 Ges\u00f9 invia i dodici: sono quelli che continueranno la raccolta messianica che Ges\u00f9 ha inaugurato, e che avranno il compito di mostrare alle genti stanche e sfinite che Dio non abbandona mai il suo campo. Questo porta ancora frutto, e la Chiesa – come anche l’Israele di Dio, popolo dell’alleanza mai revocata – \u00e8 chiamata a mostrare che le spighe sono molte, grandi, sono ormai cresciute e rimane solo da raccoglierle.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" “Vedendo le folle, Ges\u00f9 ne sent\u00ec compassione”: i vangeli riportano diverse volte questo atteggiamento di Ges\u00f9 nei confronti del suo popolo. 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