{"id":4099,"date":"2004-10-22T00:00:00","date_gmt":"2004-10-21T22:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=4099"},"modified":"2018-07-27T19:42:22","modified_gmt":"2018-07-27T17:42:22","slug":"da-dove-arrivano-queste-idee-folli","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/da-dove-arrivano-queste-idee-folli\/","title":{"rendered":"Da dove arrivano queste idee folli?"},"content":{"rendered":"

Alma, la moglie di Emanuele Petri, vive a Tuoro sul Trasimeno. Cerca di vivere con semplicit\u00e0, di superare il dolore. Resta la domanda: Perch\u00e8? Ne ha parlato con Gabriella Pesenti di ‘Avvenire’Il 2 marzo 2003 le Br uccidono l’agente della Polfer Emanuele Petri. La brigatista Nadia Lioce viene catturata. Da allora le indagini portano a smascherare complici e a sventare nuovi piani omicidiTornare nell’ombra, alla vita semplice di prima. Di prima che i terroristi le uccidessero il marito, anche se sar\u00e0 completamente diverso. “Non sar\u00e0 facile, lo so. Perch\u00e9 Emanuele non c’\u00e8 pi\u00f9. Perch\u00e9 tutte le volte che si riparla di Brigate rosse il telefono di casa squilla…”. Alma Petri parla in fretta, contenendo la stanchezza che la prende ogni volta che si ritrova suo malgrado al centro dell’attenzione. Come dopo la notizia che i terroristi avevano un lungo elenco di possibili bersagli. “L’ho saputo ascoltando il telegiornale. Ero incredula. Cos\u00ec tante persone nel mirino, addirittura tre o quattro pedinati. Possibile? Mi sono chiesta. Poi ho sentito il nome di Enrico Letta. Mi \u00e8 rimasto impresso forse perch\u00e9 era il primo che ho captato”. I telegiornali li vede sempre e “un po’ tutti”, ma quando si parla di brigatisti le immagini svaniscono. Davanti ai suoi occhi, da quella mattina del 2 marzo 2003, scorre sempre la stessa scena, “quando per un attimo mi hanno concesso di vedere mio marito…”. La voce sembra scomparire nel gorgo delle onde ribelli dei telefonini, forse s’\u00e8 spezzata. “Lo immaginavo ferito, pensavo di vederlo sporco di sangue. Invece era l\u00e0 disteso, in divisa, come se dormisse. Con quel piccolo foro che aveva lasciato solo una bruciatura. E io che ripetevo: “Non \u00e8 possibile che sia morto””. Un sacrificio che per\u00f2 non \u00e8 stato vano e che la conforta. “Io non ho pi\u00f9 mio marito, ma la sua morte \u00e8 servita a salvare la vita di queste persone. Sono orgogliosa per lui, per la divisa che portava e alla quale ero molto legata. Quanto mi commuovevo ai funerali dei suoi colleghi. E lui che cercava di scuotermi: “\u00c8 il nostro lavoro, pu\u00f2 succedere che non torniamo…”. Ma Alma impieg\u00f2 parecchio a convincersi che Emanuele non c’era pi\u00f9. “Mi sembrava che fosse successo a un altro, non so spiegare”. Nemmeno vedere le foto di Nadia Lioce, arrestata subito dopo la sparatoria sul treno costata la vita a suo marito, sovrintendente della Polfer, l’aiut\u00f2. “Aspettavo il momento del processo per poterla guardare, per rendermi conto che esisteva, che era una persona in carne e ossa. Non ricordo neppure quando accadde. So solo che la vidi e la sentii dire, parlando della morte di Emanuele, di “un piccolo, modesto episodio”. Non lo dimenticher\u00f2 mai”. Poi subentr\u00f2 l’indifferenza. La stessa che prova nei confronti di tutti i terroristi, anche della pentita Cinzia Banelli. “\u00c8 come se avessi deciso di rimuovere dalla mia mente tutta questa gente”. Non volle neppure assistere alla lettura della sentenza contro la Lioce, condannata all’ergastolo per la sparatoria sul treno in cui mor\u00ec anche il terrorista Mario Galesi. “E non entrer\u00f2 pi\u00f9 in un’aula di tribunale, penser\u00e0 a tutto il mio avvocato”. A lei restano il dolore, la fede e quella “bella immagine” del marito che dorme. Oltre a una domanda martellante, alla quale non riesce a dare una risposta: “Perch\u00e9 tutto questo? Da dove arrivano queste idee folli?”. Risposte forse cercate nell’incontro di sabato con Olga D’Antona, moglie del professore ucciso a Roma cinque anni fa. Un’emozione imprevista. “Finalmente ho potuto abbracciare una persona che ha vissuto la mia stessa tragedia e mentre parlava del suo libro, della sua esperienza, avevo l’impressione di trovarmi davanti a uno specchio”. Medesima indifferenza verso gli assassini dei rispettivi mariti. “E non volendo pensarli, non mi pongo neppure il problema del perdono”, si sfoga Alma Petri. Eppure “la parte cristiana di me ha gi\u00e0 perdonato – ammette in un soffio -, ma poi prende il sopravvento la parte umana e allora il perdono non rientra pi\u00f9 nei miei pensieri”. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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