{"id":4040,"date":"2004-10-01T00:00:00","date_gmt":"2004-09-30T22:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=4040"},"modified":"2015-07-27T12:47:02","modified_gmt":"2015-07-27T10:47:02","slug":"fede-e-servizio","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/fede-e-servizio\/","title":{"rendered":"Fede e servizio"},"content":{"rendered":"

Due detti di Ges\u00f9 nel Vangelo di Luca<\/em> di oggi. Il primo – sulla fede – \u00e8 la risposta ad un intervento degli apostoli (“Aumenta la nostra fede”, Lc<\/em> 17,6). Il secondo, pi\u00f9 esteso e quasi in forma di piccola parabola, \u00e8 centrato sul servizio che devono dare i “servi inutili” (Lc<\/em> 17,7-10). “Aumenta la nostra fede”. La domanda dei Dodici ci porta alla mente una situazione simile, che troviamo nel Vangelo pi\u00f9 antico, quello di Marco. In questo, subito dopo il racconto della trasfigurazione, il padre di un ragazzo posseduto si rivolge a Ges\u00f9 chiedendogli la liberazione del figlio, dicendogli: “Credo, aiutami nella mia incredulit\u00e0” (Mc<\/em> 9,24; alla lettera: “Credo, vieni in soccorso alla mia incredulit\u00e0”). Il Signore gli risponde non con parole, ma con il miracolo, esorcizzando lo spirito impuro.<\/p>\n

Il Vangelo di Matteo<\/em> racconta lo stesso episodio ma lo amplifica, aggiungendo la reazione dei discepoli (che Marco non ci tramanda), e registrando le stesse parole di Ges\u00f9 che ascoltiamo oggi: “Allora i discepoli, accostatisi a Ges\u00f9 in disparte, gli chiesero: ‘Perch\u00e9 noi non abbiamo potuto scacciarlo?’. Ed egli rispose: ‘Per la vostra poca fede. In verit\u00e0 vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a l\u00e0, ed esso si sposter\u00e0, e niente vi sar\u00e0 impossibile'” (Mt<\/em> 17,19-20). Anche Marco conserva comunque lo stesso logion di Luca. Il contesto l\u00ec per\u00f2 \u00e8 diverso, e riguarda l’episodio del fico infruttuoso: “Ges\u00f9 allora disse loro: ‘Abbiate fede in Dio! In verit\u00e0 vi dico: chi dicesse a questo monte: L\u00e8vati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverr\u00e0, ci\u00f2 gli sar\u00e0 accordato'” (Mc 11,22-23).<\/p>\n

Fede e miracoli. Insomma: qualsiasi sia il contesto in cui le parole di Ges\u00f9 sono registrate; che si debba spostare un gelso (Luca) o un monte (Marco e Matteo), il messaggio sembra chiaro, e riguarda ci\u00f2 che – proprio come una leva – permette che lo “spostamento” avvenga: la fede, grande anche solo quanto un granello di senapa. Ci\u00f2 che conta infatti non ne \u00e8 la quantit\u00e0, ma le sue qualit\u00e0. Ogni miracolo, come lo spostare le montagne, presuppone la fede, cos\u00ec come quelli compiuti da Ges\u00f9 la presupponevano nel bisognoso che gli si trovava dinanzi. Pu\u00f2 sembrare strano, ma “il miracolo \u00e8 di per s\u00e9 un segno ambiguo, nel senso che pu\u00f2 sviare da una religiosit\u00e0 pura e disinteressata e portare verso atteggiamenti di calcolo egoistico o di spettacolarizzazione e in definitiva verso forme di idolatria.<\/p>\n

L’ambiguit\u00e0 risulta anche dal fatto che, storicamente, i miracoli non sono serviti a convincere i capi del popolo ebraico, ma addirittura risultarono praticamente inutili anche per i discepoli pi\u00f9 intimi come i Dodici, visto che alla fine tutti lo abbandonarono vigliaccamente. Ci\u00f2 spiega perch\u00e9 Ges\u00f9 di norma chieda la fede prima del suo intervento, poich\u00e9 dopo essa non \u00e8 pi\u00f9 garantita (cfr. Lc<\/em> 17,11-19: su dieci lebbrosi guariti, solo uno torn\u00f2 per ringraziare)” (R. Penna, Il Dna del cristianesimo<\/em>, San Paolo). Ma dei dieci lebbrosi ascolteremo e parleremo la prossima domenica…Servi inutili. Passiamo alla seconda parte del nostro vangelo, e vi troviamo ancora una breve parabola, o similitudine. Anche qui facciamo fatica con il linguaggio biblico, che ci presenta una realt\u00e0 che noi consideriamo negativa (essere servi o schiavi) ma che in senso esclusivamente religioso – in rapporto a Dio – \u00e8 invece positiva (Maria stessa, nel Vangelo di Luca<\/em>, si proclama la schiava del Signore, cfr. Lc 1,38).<\/p>\n

Mi piace, e la riporto, l’interpretazione che dei nostri versetti d\u00e0 Fitzmyer: “Il discepolo di Cristo, che \u00e8 un servo o uno schiavo, e che ha portato a buon fine il suo compito, pu\u00f2 considerarsi solo come un servo inutile. Anzitutto, perch\u00e9 la condotta di tale discepolo nell’adempiere il suo ufficio non gli garantisce necessariamente la salvezza; dopo aver fatto tutto ci\u00f2 che gli competeva, il discepolo deve ancora riconoscere che il destino che lo aspetta \u00e8 una grazia. E poi perch\u00e9 non c’\u00e8 alcun spazio per potersi vantare di qualcosa”. Luca, continua Fitzmyer, formula con una parabola quello che l’Apostolo scrive: in Rm<\/em> 3,27-28 (“Dove sta dunque il vanto? Esso \u00e8 stato escluso! … Noi riteniamo infatti che l’uomo \u00e8 giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge”) e Ef<\/em> 2,9 (“Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ci\u00f2 non viene da voi, ma \u00e8 dono di Dio; n\u00e9 viene dalle opere, perch\u00e9 nessuno possa vantarsene”).<\/p>\n

La fede per servire. Ci resta da vedere se esiste un collegamento tra il detto precedente di Ges\u00f9, su cui ci siamo soffermati all’inizio, e questa parabola. Ges\u00f9 sta istruendo coloro che lo seguono. Al discepolo \u00e8 richiesta una fede grande, che non pu\u00f2 altro che essere domandata di continuo a Dio. Quanta fatica e quanto impegno devono avere i cristiani per fare ci\u00f2 che fanno, spesso a rischio della propria vita, e poi, tornando a casa dopo essere stati tutto il giorno nel campo, dover riconoscere che si \u00e8 salvati non perch\u00e9 si \u00e8 stati bravi o si sono ottenuti dei risultati, ma perch\u00e9 \u00e8 Dio che salva. Tutti i meriti – anche quelli legittimamente ottenuti – devono essere ricondotti a Dio misericordioso e salvatore.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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