{"id":3668,"date":"2004-03-05T00:00:00","date_gmt":"2004-03-05T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=3668"},"modified":"2015-07-01T10:07:13","modified_gmt":"2015-07-01T08:07:13","slug":"ascoltare-e-non-vedere-piu","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/ascoltare-e-non-vedere-piu\/","title":{"rendered":"Ascoltare e non vedere pi\u00f9"},"content":{"rendered":"

Brano, quello della trasfigurazione, tra i pi\u00f9 difficili da leggere e da collocare all’interno del percorso storico della vita di Ges\u00f9, \u00e8 ricco di suggestioni intertestuali: quanto accade, come la teofania al momento del battesimo, o la moltiplicazione dei pani e il cammino sulle acque, \u00e8 raccontato con ricche allusioni ad avvenimenti e racconti dell’Antico Testamento. Vediamone l’inizio. Otto giorni dopo. L’annotazione temporale “otto giorni dopo” (purtroppo omessa dal lezionario) collega il racconto con quanto \u00e8 appena accaduto: Ges\u00f9 ha terminato il suo primo annuncio della passione. Ma non dobbiamo dimenticare una frase importante che segue tale profezia, e che forse \u00e8 la vera “introduzione” al brano: “In verit\u00e0 vi dico, vi sono alcuni qui presenti, che non moriranno prima di aver visto il regno di Dio” (9,27). “Aver visto”: la chiave che usiamo per aprire il nostro brano \u00e8 quella del rapporto tra vedere e ascoltare. \u00c8 bello stare l\u00ec.<\/p>\n

Anzich\u00e9 spiegare quanto accaduto, partiamo dalla reazione di Pietro, che potremmo leggere a prima vista come un’ingenuit\u00e0 di un povero pescatore. Luca e Marco commentano che Pietro non sapeva quel che diceva. Matteo invece non ha alcuna aggiunta redazionale, e riporta solo le sue parole: “Maestro, \u00e8 bello per noi stare qui”. A mio avviso non dovremmo interpretare l’espressione come il dispiacere per un qualcosa destinato a finire, una specie di rimpianto per un compiacimento estatico ma effimero, mentre poi bisogna scendere gi\u00f9 a valle dove incombe la ferialit\u00e0 dell’esistenza e la vita vera. Nulla del ritornello del canto “Il nostro posto \u00e8 l\u00e0 in mezzo a loro…”, anche perch\u00e9 tali espressioni non sono registrate nei vangeli. Delle parole di Pietro coglierei invece la ricchezza teologica. Dov’\u00e8 il “bello”, il “buono” (kalos<\/em>, v. 33), se non in Dio, in Ges\u00f9? Stare con Ges\u00f9 \u00e8 la cosa bella, vedere la sua gloria \u00e8 l’esperienza che non si pu\u00f2 mai pi\u00f9 dimenticare, proprio come l’antica omelia della Seconda lettera fa dire a Pietro: “Questa voce noi l’udimmo rivolta dal cielo, quando stavamo con lui sul monte santo” (2 Pt<\/em> 1,18). Ma Pietro non sa quello che dice perch\u00e9 non \u00e8 ancora in grado di comprendere fino in fondo quanto aveva appena sentito dal Maestro, e cio\u00e8 della sua morte e risurrezione. Vorrebbe vedere sempre quel volto raggiante, ma non potr\u00e0 invece chiudere gli occhi davanti al suo Santo Volto sofferente. Anzi, a causa di quello scandalo, anche Pietro fuggir\u00e0 come gli altri.<\/p>\n

Anche se sembra che a Pietro sia servito a poco, “la Trasfigurazione di Ges\u00f9 aveva come fine di consolidare la fede degli Apostoli in vista della passione: la salita sull’alto monte prepara la salita al Calvario” (Catechismo della Chiesa cattolica<\/em>, 568).Ges\u00f9 doveva mostrare la sua gloria (Luca solo insiste per due volte con la parola gloria), perch\u00e9 su quel monte ha rivelato il suo destino ultimo e quello di ognuno di noi, l’esodo che anche noi dobbiamo prima o poi portare a compimento (qui la traduzione Cei andrebbe emendata: “exodos<\/em>“, \u00e8 scritto nel testo orig. di Lc<\/em> 9,31).<\/p>\n

L’annuncio della passione e morte di Ges\u00f9 – e anche nostra – non \u00e8 mai completo se ad esso non \u00e8 associato quello della gloria, della risurrezione. La nostra sorte infatti si compir\u00e0 quando anche il nostro corpo, la nostra vita, saranno trasfigurate e anche noi – come gi\u00e0 Pietro, Giovanni e Giacomo – vedremo il Risorto “cos\u00ec come egli \u00e8”, non solo nella sua forma umana, ma nella sua pi\u00f9 completa realt\u00e0. La trasformazione di cui parla il parallelo Mt<\/em> 17,1 (nel greco: “e si trasform\u00f2 davanti a loro”) \u00e8 lo svelamento della personalit\u00e0 profonda di Ges\u00f9, quella dell’eletto, del Figlio unigenito. Ed \u00e8 anche profezia della nostra futura trasformazione. Ascoltare, non vedere – la voce, e non la visione. Ci\u00f2 che ha consolato i discepoli sul monte \u00e8 stato il poter vedere cose meravigliose.<\/p>\n

Per diverse volte in questo episodio ricorre il verbo “vedere” (al passivo, visti = apparsi: 9,31; all’attivo: 9,31.36; all’imperativo, al v. 30: “ed ecco”, in gr.). Ma – terminata la visione – ci\u00f2 che resta, nella nube, \u00e8 solo una voce. Ci dice della situazione in cui noi ora siamo: quella dei credenti, beati anche se non possono pi\u00f9 vedere il Signore (cfr. Gv<\/em> 20,29: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”). Se ora si vede ancora il Signore, \u00e8 solo in un modo “confuso”, dove la sua presenza appare, ma non chiaramente, come per i discepoli di Emmaus. Pu\u00f2 essere (intra)visto nei poveri, nei bambini (ricordiamo proprio il messaggio di Giovanni Paolo II per questa Quaresima, sui bambini malati di Aids), nel prossimo. Nei sacramenti, dove – come scrive san Leone Magno – “\u00e8 passato ci\u00f2 che era allora visibile nel nostro Salvatore” (Sermones<\/em> 74,2). Non lo possiamo vedere: i credenti invece lo devono ascoltare, nella sua Parola, che – grazie alla Chiesa – ancora ci viene trasmessa: “ascoltiamola”.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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