{"id":3365,"date":"2003-09-19T00:00:00","date_gmt":"2003-09-19T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=3365"},"modified":"2003-09-19T00:00:00","modified_gmt":"2003-09-19T00:00:00","slug":"piu-che-di-radici-si-dovrebbe-parlare-di-testimonianza-cristiana","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/piu-che-di-radici-si-dovrebbe-parlare-di-testimonianza-cristiana\/","title":{"rendered":"Pi\u00f9 che di ‘radici’ si dovrebbe parlare di testimonianza cristiana"},"content":{"rendered":"
Radici cristiane dell’Europa: questo elemento, una volta inserito nel preambolo della Costituzione europea, imporrebbe un discutibile modo d’intendere il rapporto cristianesimo-cultura, annuncio evangelico-civilt\u00e0. La metafora delle radici, infatti, suggerisce un rapporto organico fra eventi-istituzioni-impegno civile da un lato, e predicazione-conversione-testimonianza dall’altro, quasi uno sviluppo continuo, un implicarsi naturale dei due livelli, la fecondit\u00e0 del cristianesimo nei frutti della cultura, la sostanza di questi frutti nelle radici cristiane. Ma questo rapporto \u00e8 tutt’altro che ovvio e convincente. La predicazione cristiana, con la ‘rinascita dall’alto’ (Gv 3,7) che essa implica, non \u00e8 in funzione di una civilt\u00e0 (capacit\u00e0 di soddisfare esigenze vitali, di favorire l’adattamento di gruppi umani all’ambiente, la convivenza e l’integrazione di collettivit\u00e0, lo scambio creativo tra il singolo e la comunit\u00e0 di appartenenza), ma porta in questa, nelle sue forme storiche, un elemento di inquietudine, di incertezza, di speranza: ci\u00f2 che sembra determinato, necessario, imposto con la forza o legittimato da istituzioni, radicato nell’esperienza di generazioni, assimilato con il linguaggio e la vita stessa, pu\u00f2 non essere tutto; pu\u00f2 esserci una libert\u00e0 non naturale, ma dovuta ad una volont\u00e0 creativa, alla generosit\u00e0 di un dono, fonte di senso e di salvezza, non riconducibile al modello delle leggi di natura. In termini simili pu\u00f2 esprimersi il pensiero di tutta la Bibbia, che nel Nuovo testamento s\u00ec attua in Ges\u00f9 di Nazaret, uomo fra gli uomini, portatore di questo dono della libert\u00e0 per tutti, senza condizioni. Non ci sono ragioni (esterne) perch\u00e9 questo annuncio, trasmesso da chi ha creduto a chi \u00e8 venuto dopo, venga accolto, se non il riconoscimento dell’individuo che, trovandosi posto nella relazione, scoprendosi interpellato e libero, prende una posizione responsabile. La predicazione, facendosi parola detta per l’individuo, si rigenera creativamente per gli ascoltatori, non pu\u00f2 restare chiusa, limitata, e quindi intorno ad essa si riconosce una comunit\u00e0, non dal basso per affinit\u00e0 originaria dei costituenti, ma dall’alto, per il comune termine di orientamento della loro vocazione e speranza. Se questa \u00e8 la ‘logica’ della predicazione evangelica, la civilt\u00e0 europea in che senso pu\u00f2 riferirsi al cristianesimo? Poich\u00e9 quest’ultimo non si fonda su una verit\u00e0 che s’imponga con evidenza schiacciante, ma si affida al riconoscimento e alla fedelt\u00e0 degli individui e delle chiese in cui si riuniscono, non c’\u00e8 un espressione diretta, evidente, positiva di cristianesimo nella storia, non c’\u00e8 un settore del mondo che non sia profano, n\u00e9 una componente riconoscibile e separabile della cultura, che si possa qualificare come cristiana; non si pu\u00f2 confondere la presenza di idee, istituzioni, che si riferiscono al cristianesimo con la legittimazione cristiana della loro consistenza storica. Un conto \u00e8 la fonte della speranza cristiana, la parola a cui si aderisce, su cui non \u00e8 possibile a nessuno interferire, un altro ci\u00f2 che si realizza nella storia e nella disponibilit\u00e0 degli strumenti operativi. Si pu\u00f2 parlare di testimonianza cristiana, nel senso che i cristiani affrontano la realt\u00e0 e i soli problemi nella prospettiva della salvezza e della speranza, ma da ci\u00f2 non si pu\u00f2 dedurre una prassi che sia etichettabile come cristiana rispetto ad altre possibili; l’azione ha a che fare con giudizi storici, con operazioni del mondo, con la differenza degli individui e delle situazioni. Una civilt\u00e0 e una cultura non possono avere radici cristiane, poich\u00e9 il cristiano s’interroga sul senso della realt\u00e0 in cui vive, sulle sue implicazioni, sulle responsabilit\u00e0, a confronto con le richieste della parola ricevuta, delle esigenze che essa pone. Non ne risulta una celebrazione di quello che \u00e8 stato fatto, un incoraggiamento a continuare secondo linee storiche gi\u00e0 tracciate o necessit\u00e0 imposte, ma invece una critica, spesso una ‘disperazione’ per l’infedelt\u00e0 e il tradimento, non senza la ‘speranza’ della conversione. Ma tutto questo equivale a sradicare, pi\u00f9 che a difendere le radici, a scalzare le presunzioni della storia, pi\u00f9 che ad affondarle nel passato, a porre radici allo scoperto, paradossalmente, perch\u00e9 possano disseccarsi e tornare feconde con un intervento che non ci \u00e8 disponibile, in cui possiamo sperare.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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