{"id":30891,"date":"2015-03-13T13:47:06","date_gmt":"2015-03-13T11:47:06","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=30891"},"modified":"2015-03-13T13:47:06","modified_gmt":"2015-03-13T11:47:06","slug":"un-soldato-racconta-la-sua-vita-in-kosovo","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/un-soldato-racconta-la-sua-vita-in-kosovo\/","title":{"rendered":"Un soldato racconta la sua vita in Kosovo"},"content":{"rendered":"
\"Militari<\/a>
Militari durante la missione del Contingente italiano in Kosovo<\/figcaption><\/figure>\n

La politica e la gente si interrogano: che cosa fare per porre fine agli orrori, alle decapitazioni, crocifissioni e violenze di ogni genere su persone inermi mentre i tagliagole fanatici dell\u2019Isis sembrano avvicinarsi pericolosamente al nostro Paese? Francesco<\/strong>, 36 anni, perugino, ha indossato per nove anni la divisa dell\u2019Esercito italiano partecipando anche a due missioni in Kosovo della Kfor, la forza militare internazionale guidata dalla Nato. \u201cIn un mondo perfetto – dice – non ci sarebbe bisogno di armi per mantenere la pace, ma nel mondo reale…\u201d.<\/p>\n

L\u2019ex sergente, tornato alla vita civile con una attivit\u00e0 nel settore informatico, con sincerit\u00e0 (e anche un po\u2019 di commozione per ricordi non sempre lieti) accetta di parlare con La Voce<\/em> di questa sua esperienza e delle motivazioni che lo avevano spinto ad intraprenderla.<\/p>\n

A 19 anni, dopo gli studi al liceo classico Mariotti di Perugia, si iscrive all\u2019Universit\u00e0 (facolt\u00e0 di Chimica) e contemporaneamente si arruola come volontario in ferma breve di tre anni. La sua opzione \u00e8 per gli Alpini, per la grande passione per la montagna coltivata anche con gli scout dell\u2019Oasi di Sant\u2019Antonio dove per anni \u00e8 stato akela<\/em>, cio\u00e8 \u201ccapobranco\u201d.<\/p>\n

I genitori sono perplessi ma non lo ostacolano. \u201cCerto – racconta – mi piaceva l\u2019idea di uno stipendio e dell\u2019indipendenza economica, ma, come quando ero negli scout, c\u2019era in me la voglia di fare qualcosa per gli altri. Di aiutare le persone in difficolt\u00e0, e indossando una divisa perch\u00e9, quando ci sono alluvioni e terremoti, i soccorsi arrivano con la gente in divisa. E cos\u00ec anche nei disastri provocati dalle guerre: vedevo che erano i soldati italiani delle missioni internazionali di pace a intervenire per proteggere le popolazioni inermi. Dopo nove anni nell\u2019Esercito, posso affermare che sono tante le persone che si arruolano con lo spirito di mettersi al servizio degli altri\u201d.<\/p>\n

Francesco, dopo i 40 giorni di primo addestramento a Chieti, non realizza il sogno giovanile di finire sulle montagne con gli Alpini. La sua destinazione \u00e8 invece la Cavalleria, al IX Reggimento lancieri di Novara di Codroipo, nel Friuli, dove le Alpi si vedono solo dal basso. A cavallo \u00e8 montato soltanto qualche volta in alta uniforme per le cerimonie ufficiali, perch\u00e9 la Cavalleria adesso \u00e8 motorizzata. Diventa istruttore di tiro di precisione, si occupa della rete informatica del Reggimento e intanto affronta gli esami che lo portano alla laurea breve in Chimica.<\/p>\n

La guerra dei Balcani<\/strong> \u00e8 finita da poco quando nel 2001 parte per la sua prima missione in Kosovo, nei dintorni di Pristina. Un impatto forte. Ci sono ancora le rovine dei bombardamenti, ma a colpire il giovane militare – nel frattempo diventato caporale – sono uomini, donne, e anche tanti bambini senza braccia, gambe e con altre mutilazioni per gli scoppi delle mine. Eredit\u00e0 di quella guerra fratricida tra serbi e kosovari che ha lasciato tanta miseria e tanti rancori e desideri di vendetta. Con la fame c\u2019era infatti anche tanta violenza. Si uccideva per rubare.<\/p>\n

\u201cIl nostro compito principale – ricorda Francesco – era quello di pattugliare strade, ponti, torri radio, riserve idriche, centrali elettriche. Tanta gente guardava le nostre divise con un po\u2019 di diffidenza. Era normale, noi eravamo a casa loro. La maggioranza per\u00f2 capiva. Lo avvertivamo dai loro sguardi, dai sorrisi, e c\u2019era anche chi si avvicinava per offrirci cibo quando invece erano loro a non averne a sufficienza\u201d.<\/p>\n

Il muro della diffidenza si stava pian piano sgretolando, anche perch\u00e9 erano i soldati italiani ad affiancare organizzazioni umanitarie e volontari nella distribuzione di medicinali e generi di prima necessit\u00e0. La divisa per\u00f2 imponeva anche di sparare. \u201cUscivamo dalla caserma sempre con il colpo in canna. S\u00ec – racconta Francesco – ho dovuto anche sparare. Colpi di avvertimento e in aria ai check-point. Fortunatamente mai direttamente alle persone\u201d.<\/p>\n

Quella prima missione \u00e8 durata sei mesi. Tornato a Codroipo, Francesco accetta di essere confermato in servizio volontario per altri tre anni. Cos\u00ec nel 2005 \u00e8 di nuovo in Kosovo per altri sei mesi al \u201cvillaggio Italia\u201d di Belo Polje. Tutto era pi\u00f9 tranquillo della prima volta. Ponti e strade erano stati ricostruiti, erano tornate luce, acqua; ripristinati tanti servizi essenziali. \u201cEravamo contenti – dice oggi – perch\u00e9 si vedevano gli effetti di quello che avevamo fatto\u201d.<\/p>\n

Quale \u00e8 il ricordo pi\u00f9 drammatico di quell\u2019anno in Kosovo?<\/strong> \u201cC\u2019era una ragazza poco pi\u00f9 che ventenne che conoscevo abbastanza perch\u00e9 faceva parte di quel gruppo di kosovari che ci facevano da intermediari nei rapporti con la gente del posto. Durante un pattugliamento, abbiamo sentito un\u2019esplosione. Siamo accorsi. L\u2019abbiamo trovata sanguinante per terra. Era con il fratellino e avevano urtato la bomba di un mortaio. Del bambino erano rimasti soltanto frammenti sparsi. Lei \u00e8 morta poco dopo\u201d<\/p>\n

E uno dei ricordi belli?<\/strong> \u201cUna sera, stanchi, eravamo a guardia di un ponte radio su una collina recintata da filo spinato. Abbiamo visto tre ombre avvicinarsi. Sono scattate tutte le procedure di allerta. I fari hanno illuminato una donna con due bambini. Si \u00e8 avvicinata al filo spinato offrendoci una pagnotta e una bibita di succo di mirtilli e frutti di bosco. Abbiamo capito che ormai la gente aveva compreso il significato della nostra presenza nella loro terra\u201d.<\/p>\n

Dopo nove anni di servizio<\/strong>, il sergente maggiore Francesco decide di tornare alla vita civile. \u201cContento – dice – di quell\u2019esperienza in divisa in ambienti in cui ho trovato tanta gente che non era l\u00ec solo per lo stipendio o con la voglia di sparare, ma convinta di fare qualcosa di buono per la comunit\u00e0. Posso affermare con convinzione che non c\u2019\u00e8 alcuno pi\u00f9 pacifista dei militari, che conoscono da vicino i mali della guerra\u201d.<\/p>\n

Oggi che si discute su opportunit\u00e0, utilit\u00e0, pericoli ed efficacia di interventi militari italiani in Libia e altre zone di guerra, l\u2019ex sergente maggiore confida di non avere una risposta. \u201cIl terrorismo – dice – non conosce e non rispetta le regole dei soldati in divisa: uccide e usa i civili, mentre i militari cercano sempre di evitare vittime tra i civili. La guerra ai terroristi \u00e8 complessa. Credo che sia necessario un grande lavoro di intelligence<\/em> internazionale per cercare di bloccare alle frontiere terroristi e jihadisti. Quando le forze di pace italiane arrivano nelle zone di operazione, lo fanno sempre con una stretta di mano con la popolazione locale\u201d. Ma in Libia o in Siria, a chi stringere la mano?<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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