{"id":1528,"date":"2001-05-04T00:00:00","date_gmt":"2001-05-03T22:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=1528"},"modified":"2015-07-16T14:10:06","modified_gmt":"2015-07-16T12:10:06","slug":"quando-una-donna-muore-sul-ring-non-ce-parita-che-tenga","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/quando-una-donna-muore-sul-ring-non-ce-parita-che-tenga\/","title":{"rendered":"Quando una donna muore sul ring non c’\u00e8 parit\u00e0 che tenga"},"content":{"rendered":"

‘\u00e8 ormai noto, il ministro della Sanit\u00e0 Veronesi ha recentemente annullato il divieto alle donne di salire sul ring. La cosa ha mandato in sollucchero la collega Bellillo che ha scritto: “E’ una vittoria. Perch\u00e9 \u00e8 sempre una vittoria di civilt\u00e0 l’abbattimento di steccati”. (A proposito di steccati sarebbe interessante sapere che tipo di impegno mise a suo tempo la compagna Bellillo per abbattere quel lungo steccato – quello s\u00ec che lo era, e tragico! – che si chiamava “muro di Berlino”. La Bellillo ha per\u00f2 fatto un grosso autogol quando ha scritto che “se si sale sul ring facendo della buona boxe non si corrono molti rischi”. I rischi ci sono, ammette, ma non sarebbero poi cos\u00ec tanti. L’incredibile superficialit\u00e0 di un tal modo di parlare viene ora smentita dalla recente notizia – ecco l’autogol – che la pugile australiana Patricia Devellerez \u00e8 andata in coma per un ko subito nel corso di un match contro una collega neozelandese. “Credo che dopo un tale choc al cervello nessuno vorr\u00e0 pi\u00f9 lasciarla combattere”, ha detto la madre di Patricia il cui marito, ex pugile, si \u00e8 subito associato ai medici australiani che negli stessi giorni, in seguito alla morte di un pugile causata dai colpi sul ring, avevano chiesto la messa al bando del pugilato. Lasciando volentieri alla Bellillo le sue idee di progresso e di civilt\u00e0 (che, \u00e8 bene ricordarlo anche in questa vigilia elettorale, hanno portato la societ\u00e0 ai luminosi traguardi della legalizzazione dell’aborto e del divorzio, e dalle quali proviene la spinta verso altre conquiste libertarie, come l’eutanasia e le libere convivenze anche omosessuali da equiparare alla famiglia fondata sul matrimonio) occupiamoci ancora una volta di questo pseudo sport chiamato boxe. Ne abbiamo gi\u00e0 parlato su queste pagine il 16 marzo scorso. Merita tornarci, perch\u00e9 i problemi etici che esso pone sono notevoli. Abbiamo pi\u00f9 volte scritto che il punto focale riguarda la natura stessa del pugilato, il fatto che in esso il fattore traumatico costituisce un elemento essenziale per conseguire la vittoria. Come infatti si sa, l’elemento pi\u00f9 traumatico e spettacolare del pugilato \u00e8 il ko, che provoca una vera commozione cerebrale con l’istantaneo passaggio del pugile “toccato” allo stato di incoscienza e di totale abbandono delle forze. Un colpo, dunque, mirato ad abbattere l’avversario. Un colpo, pertanto, moralmente inaccettabile. Chi sale sul ring, punta al ko. Ad un personaggio sportivo che sosteneva il contrario in un pubblico dibattito di parecchi anni fa, alcuni campioni presenti tra cui Duilio Loi e Gabelli replicarono dicendo: “Ma allora sul ring, che ci andiamo a fare?”. In ogni match i pugni dati e ricevuti sono centinaia. E’ stato calcolato che nell’incontro – o meglio, nello scontro – del pesi welter La Hoya-Quartey del 13 febbraio 1999 furono portati in totale 1159 colpi, 407 dei quali andati a segno. A segno dove? Molti certamente alla testa. E ogni pugno alle testa giunge inevitabilmente al cervello, che \u00e8 uno degli organi pi\u00f9 delicati e vitali. Certo, nessun maestro di boxe dir\u00e0 esplicitamente ad un suo allievo: “Va’ e distruggi fisicamente il tuo avversario”. Ma al posto delle parole parlano i gesti, e questi – al di l\u00e0 di possibili esiti letali – producono quasi sempre fatti drammatici. Questi sono sostanzialmente i motivi sui quali si fonda la negativa valutazione morale della boxe professionistica. Non solo femminile, sia ben chiaro, ma anche maschile. La boxe professionistica, cos\u00ec com’\u00e8 praticata e regolata, va a mio parere abolita. Se questo traguardo non fosse per ora raggiungibile, si cerchi almeno di renderla meno pericolosa introducendo, ad esempio, guantoni diversi, l’obbligo del casco protettivo, un numero inferiore di riprese, la proibizione dei colpi alla testa e regole che permettano all’arbitro di interrompere un incontro divenuto pericoloso. I dilettanti, che adottano questi accorgimenti, corrono infatti meno pericoli.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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