{"id":1381,"date":"2001-02-02T00:00:00","date_gmt":"2001-02-02T00:00:00","guid":{"rendered":"http:\/\/www.lavoce.it\/?p=1381"},"modified":"2001-02-02T00:00:00","modified_gmt":"2001-02-02T00:00:00","slug":"tornera-nella-sua-cattedrale-come-fu-suo-ultimo-desiderio","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.lavoce.it\/tornera-nella-sua-cattedrale-come-fu-suo-ultimo-desiderio\/","title":{"rendered":"Torner\u00e0 nella sua cattedrale come fu suo ultimo desiderio"},"content":{"rendered":"
Proprio cos\u00ec, dovremo esserci tutti, ci saremo tutti: 7 febbraio 2001, sesto anniversario del pio transito dell’arcivescovo mons. Antonio Ambrosanio, quando verr\u00e0 inaugurato il suo monumento funerario in Cattedrale, con la Cappella degli arcivescovi. Lo ricordiamo ancora, sei anni fa, esposto alla venerazione del popolo, mentre la teoria interminabile dei visitatori, anzi dei figli, si appressava per l’ultimo sguardo, l’ultimo saluto. Una morte dinanzi alla quale veniva alla mente un pensiero, immaginate un po’, di Lutero: “Il nostro bene \u00e8 nascosto e lo \u00e8 cos\u00ec profondamente da essere nascosto sotto il suo contrario. Cos\u00ec la nostra vita \u00e8 nascosta sotto la nostra morte, la forza sotto la debolezza”. Cos\u00ec aveva scritto nel commento alla Lettera ai Romani, tra il 1515 e il 1516, quando ancora era nella Chiesa cattolica, (solo nel 1517 affisse le famose 95 tesi sulle indulgenze alle porte della chiesa di Wittenberg). E aggiungeva: “Si diventa teologo vivendo, anzi morendo e dannandosi, non solo comprendendo, leggendo e speculando”. Mons. Ambrosanio era vissuto per tutta la vita “comprendendo, leggendo e speculando”; sua la fondazione dell’Ateneo teologico di Napoli, sue alcune opere come Frammenti eucaristici. Ma ora il Signore lo chiamava a quella esperienza di morte che avrebbe coronato ogni sua pi\u00f9 ardita contemplazione, secondo la parola di Giovanni nella sua prima Lettera: “Carissimi, fin d’ora siamo figli di Dio, ma ci\u00f2 che saremo non \u00e8 stato ancora rivelato. Sappiamo per\u00f2 che quando egli si sar\u00e0 manifestato, noi saremo simili a lui, perch\u00e9 lo vedremo cos\u00ec come egli \u00e8” (1 Gv 3,2). Per questo, quando il suo medico, dott. Giannetti, il 25 gennaio, si fece forza e gli rivel\u00f2 con tutta sincerit\u00e0 l’irreversibilit\u00e0 della morte, chiese soltanto di essere lasciato in solitudine, come ai tempi delle sue pi\u00f9 ardite ricerche teologiche, per prepararsi in disponibilit\u00e0 assoluta, in una gioia che non potremmo facilmente comprendere, alla suprema manifestazione. E cos\u00ec volle ricevere l’Olio degli infermi il 2 febbraio, per essere presentato al Padre da Maria e Giuseppe come il Bambino Ges\u00f9. Non lasci\u00f2 un vero e proprio testamento spirituale, soltanto due brevi frasi latine dalla Scrittura: “Dilexi Ecclesiam … pro mundi vita” (“Ho amato la Chiesa … per la vita del mondo”). Uno solo \u00e8 stato il suo desiderio: restare nella sua Cattedrale, la sua sposa, e qui attendere la risurrezione. Ora finalmente il suo desiderio \u00e8 realt\u00e0. Mercoled\u00ec 7 febbraio, ne ricorderemo insieme la figura e lo saluteremo nella sua nuova tomba. L’arcivescovo mons. Riccardo Fontana ha diramato gli inviti e comunicato il programma: alle ore 16, nella sala Barberini del Museo diocesano (Palazzo arcivescovile) il prof. mons. Andrea Milano, ordinario di Storia del Cristianesimo nell’Universit\u00e0 di Napoli, terr\u00e0 l’attesa commemorazione, poi si scender\u00e0 nella Cattedrale dove il Vescovo di Albano, mons. Vallini, a Napoli ai tempi di mons. Ambrosanio, con l’arcivescovo mons. Fontana, presieder\u00e0 la Concelebrazione eucaristica di suffragio. Al termine della celebrazione l’inaugurazione del monumento funerario. Margherita Guidacci ha scritto: “A che vale il tuo nome – scritto sopra una bara sigillata – che pi\u00f9 non si riapre – a cui \u00e8 vano bussare?”. E pienamente a ragione, quando un nome scritto su una bara o scolpito su di una lapide presumerebbe di prolungare nel tempo ci\u00f2 che \u00e8 decisamente stroncato. Ma quando \u00e8 un nome che tu sai scritto, gi\u00e0 e pi\u00f9, in cielo, tutto \u00e8 diverso, perch\u00e9 il pensiero vola lass\u00f9 e si fa quasi scala di Giacobbe su cui salgono e scendono gli angeli. Mi piace riportare qui, in italiano, il testo latino della iscrizione: “Antonio Ambrosanio, arcivescovo di Spoleto-Norcia, sogn\u00f2 morendo questa cappella, per s\u00e9 e i suoi fratelli nell’episcopato spoletino, e ad essa volle contribuire nella sua munificenza, in modo che, uniti nell’amore della stessa Chiesa, attendessero nello stesso monumento la beata risurrezione”. Nella Cappella infatti, insieme a mons. Ambrosanio, sono stati traslati i tre arcivescovi che, dalla fine dell’Ottocento, sono morti a Spoleto, e cio\u00e8 mons. Elvezio Mariano Pagliari, il vescovo della Sacra Famiglia (1900), mons. Pietro Pacifici (1931), il vescovo del rigore antimodernista, mons. Pietro Tagliapietra (1933), il vescovo della parola di fuoco. Sostando e pregando nella Cappella, potremo ripensare cos\u00ec a gran parte della nostra storia.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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