di Tonio Dell’Olio
Quello di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace è tutt’altro che il richiamo a un vuoto quanto inconcludente ottimismo per il futuro. Piuttosto, produce l’effetto immediato di rinsaldare il legame profondo con la virtù della speranza, che alimenta, sostiene e accompagna la fede e la carità.
Ma, ancora di più, sostiene il cammino della pace, che – senza questa virtù sarebbe destinata all’illusorietà e al breve respiro. Ma Papa Francesco con un anelito planetario e macroecumenico annuncia che “sperare nella pace è un atteggiamento umano”. La speranza infatti “è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili”.
E lo dice in apertura del Messaggio, quasi a indicare con concretezza la cassetta degli attrezzi senza i quali si corre il rischio di costruire la guerra e di chiamarla poi pace. Insomma, l’apertura del Messaggio dice perché fosse falso, ieri come oggi, il detto latino si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra).
“La guerra scrive Bergoglio – si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo”. Per questo, più che immorale, la guerra va dichiarata fallimentare fin dalla sua preparazione, ovvero prima ancora di essere scatenata. Infatti nutre la sfiducia e la diffidenza e non fa credito al domani; irrora dappertutto la logica della paura e dell’inimicizia, prima ancora che un gesto di contrapposizione o una semplice mancanza di rispetto scateni le reazioni dell’odio.
“Ogni situazione di minaccia – dice Francesco – alimenta la sfiducia e il ripiegamento sulla propria condizione. Sfiducia e paura aumentano la fragilità dei rapporti e il rischio di violenza, in un circolo vizioso che non potrà mai condurre a una relazione di pace. In questo senso, anche la dissuasione nucleare non può che creare una sicurezza illusoria”.
Una lezione che apprendiamo dalla memoria e dalla cattedra più autorevole che è quella delle vittime. Francesco in Giappone sembra essere rimasto particolarmente colpito dall’incontro con gli hibakusha, i sopravvissuti dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, e dedica un intero paragrafo del messaggio all’importanza fondamentale della memoria, quasi una palestra per educarci alla pace.
“Il mondo – dice il Papa – non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni”. Accanto alla forza della memoria, Francesco propone la dinamica del perdono come fattore indispensabile, quasi il plinto di fondazione per costruire una pace autentica e duratura e, a partire dalla bella pagina evangelica in cui proprio Pietro interroga il Cristo su quante volte bisogna perdonare (Mt 18,21-22), arriva ad affermare: “Imparare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di diventare donne e uomini di pace“.
Poi il Messaggio si fa eco del richiamo profetico e conciliare della pace, intesa come opera di giustizia: “Non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico”.
Don Tonino Bello amava ripetere che quello della pace era sempre un parto trigemino, perché la pace stessa si declina con la giustizia e la salvaguardia del creato. Per la verità, ricordiamo come proprio questa trilogia abbia segnato un nuovo cammino ecumenico per le Chiese cristiane, che hanno finalmente imparato a non confrontarsi più esclusivamente – o prevalentemente – sulle rispettive dottrine teologiche, quanto a unire forze e creatività sull’orizzonte dell’impegno comune a servizio dell’umanità.
In questo senso ci sono due espressioni che il Messaggio popone come un faro da cui lasciarsi illuminare. Il primo passaggio richiama il recente Sinodo sull’Amazzonia, che “ci spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la Terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le speranze”.
E il secondo, che può diventare un augurio natalizio o un impegno per l’anno nuovo che comincia: “La cultura dell’incontro tra fratelli e sorelle rompe con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro una possibilità e un dono dell’amore generoso di Dio”.