Dopo il Referendum. Voto cattolico: univoco allineato o pluralista divergente?

Due idee alternative che vengono spesso mal poste

Potrà sembrare strano, ma ci sono ancora cattolici che si chiedono se il loro è un voto da “cristiani”. Ma cosa significa votare cristianamente o da cattolici? Abitualmente vi sono due linee di pensiero generiche, tra di loro contrastanti.

C’è chi pensa che il voto di un cattolico debba esprimere uniformemente un pensiero univoco dominante. I sostenitori di questa posizione si appellano a una dottrina morale, fatta di princìpi e di valori, che, a loro dire, costituisce il pensiero stesso della Chiesa, al quale ci si deve sempre uniformare in ogni situazione, in particolare dove si richiede l’espressione di un voto politico. Essi infatti, sentono quasi il bisogno indispensabile che la “gerarchia ecclesiale” si schieri politicamente e indichi in modo netto una linea chiara, univoca alla quale tutti i cattolici poi devono uniformarsi.

Questa posizione è stata presente soprattutto nel passato italiano, dagli anni ’30 fino agli anni ’70, in quella fase utopica, chiamata “nuova cristianità”, quando si pensava che potesse esistere un solo e univoco partito a rappresentare il pensiero ecclesiale e quindi il pensiero di tutti i cattolici italiani.

Ancora oggi vi sono nostalgici di questa posizione, perché essa garantiva una certa sicurezza alle coscienze cristiane, le quali non dovevano far altro che uniformarsi al pensiero e ai desideri della “gerarchia ecclesiale” in ambito sociale e soprattutto politico.

Purtroppo questi nostalgici non conoscono o hanno dimenticato che già il Concilio Vaticano II aveva preso le distanze da questa linea di pensiero ecclesiale, quando nella Gaudium et spes, n. 76, si dichiarava: “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori”.

Il Concilio ribadiva la libertà e nello stesso tempo la responsabilità di una coscienza cristiana, che è chiamata ad agire “autonomamente”, certo non dai propri princìpi e valori cristiani, ma da qualsiasi sistema dottrinale che imponga una visione oligarchica e autoritaria. Infatti si ribadisce l’indipendenza o, se volete, l’autonomia della Chiesa da qualsiasi sistema politico: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”.

Più recentemente il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al n. 573, ha ribadito con maggiore incisività: “Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche, che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo”.

L’altra linea di pensiero, più recente, intende il voto politico dei cattolici come un voto totalmente sganciato da ogni riferimento alla fede, ai suoi princìpi morali e ai doveri morali a essa legati. I sostenitori di questa posizione vedono il cattolico fuori dalla Chiesa, cioè come un semplice cittadino, che deve lasciare in chiesa il suo vestito da cristiano e vestire gli abiti della “laicità”, rinunciando alla sua identità cristiana.

Questa posizione chiaramente laicista è altrettanto nefasta della precedente, in quanto in modo evidente propone una vera e propria finzione alla coscienza, costringendola a una nevrosi intellettuale: essa scinde l’identità cristiana, che al contrario pervade non solo la vita spirituale dell’uomo, ma ogni espressione della sua vita sociale, compresa quella politica. In poche parole, non si può essere cristiani solo in chiesa, ma lo si è soprattutto fuori, se lo si è veramente dentro.

Questa posizione è stata altrettanto criticata: “Questa negazione [dell’identità cristiana] non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 572).

Come dovrà essere dunque il voto dei cattolici? Libero, consapevole e responsabile.

Libero dai pregiudizi, dalle paure, dalle forzature ideologiche; ma non potrà ignorare o dimenticare i princìpi morali della fede, ribaditi dal Magistero ecclesiale, in particolare quando i valori cristiani sono minacciati o totalmente sovvertiti da scelte politiche e legislative.

“Consapevole” significa che il cristiano deve formarsi una coscienza critica, informata attentamente sulle questioni politiche, anche le più complesse. Questo richiede che la scelta politica del cristiano, anche se è individuale e personale, non può prescindere – per avere una piena consapevolezza – da quel proficuo dialogo con gli altri cattolici all’interno delle singole comunità cristiane (parrocchie, movimenti, associazioni).

Responsabile, infine: si intende che l’espressione libera e consapevole del proprio voto non può essere un semplice subire la moda del momento, o un adempiere asetticamente a un dovere morale, ma deve esprimere la presa di coscienza responsabile della propria partecipazione attiva alla costruzione di una società migliore, fondata sul bene comune e sul rispetto della dignità di ogni essere umano, princìpi e valori fondamentali della fede e di una società civile.

Infine, rispondendo alla domanda del titolo, un sano pluralismo è l’anima stessa della Chiesa; dove le divergenze sono ricchezza e opportunità di crescita, se ricondotte all’unità dei princìpi e dei valori morali contenuti nel Vangelo ed espressi nell’unica fede in Cristo.

 

AUTORE: Don Carlo Maccari