I numeri sono sempre da prendere con le pinze, ma comunque segnalano un trend: l’Istat ha recentemente registrato un calo del volontariato di circa 600 mila unità tra il 2016 e il 2021. Chiariamoci: il dato del 2016 era quasi sicuramente sovrastimato e quindi il calo è stato più contenuto. Però aggiungiamo che il Covid ha dato un ulteriore colpo al volontariato quanto a numeri, e questo trend lo confermano praticamente tutti gli enti del terzo settore che traggono linfa vitale dal volontariato. La questione ha anche un risvolto economico: milioni di ore lavorative a zero euro che vengono a mancare, comportando quindi o un aumento dei costi o una diminuzione dei servizi. Spesso, entrambe le cose.
C’è da dire che questi ultimi anni hanno portato alla regolarizzazione lavorativa di molte figure prima inquadrate come “volontari”: gli occupati nel terzo settore in Italia guardano da vicino la soglia del milione di unità. Ma l’Istat segnala comunque una tendenza chiara: a diminuire sono soprattutto i volontari inquadrati negli enti non profit più grandi, più strutturati; soffrono anche gli intermedi, mentre aumenta il numero di volontari nelle realtà più piccole. Segno – dice l’istituto statistico – di una minore voglia di “inquadramento” e della maggior propensione a un volontariato più occasionale e più “vicino”:
lo hanno definito “volontariato liquido”. Insomma “individuale, episodico, temporaneo, discontinuo, in cui prevale l’iniziativa personale”. Bisogna anzitutto guardare alla demografia: sempre meno giovani, età del pensionamento sempre più lontana. Una tenaglia che stringe il settore. Ma soprattutto è la mentalità cambiata, le motivazioni che spingono alla generosità sociale: dal dare una mano a chi ne ha bisogno al dare una mano perché mi va, mi migliora, mi fa star bene. Una “crisi vocazionale” a cui non è estraneo un mondo cattolico sempre meno frequentato dalle giovani generazioni: il buon samaritano 2024 s’impegna per il clima, la plastica, gli animali; un po’ meno per i disabili o i vecchi. Insomma, per il genere umano non globalmente inteso.
A questo punto sarà compito delle realtà del terzo settore farsi conoscere e mobilitare nuove energie, saper attrarre braccia e menti che diano una mano, senza per forza un compenso economico in cambio. Altrimenti il rischio vero è quello di trasformarsi in un para-Stato, laddove l’impegno è solamente contrattualizzato, ma senza più quel cuore che fa la differenza tra un amico che aiuta e un impiegato pubblico che lavora.
Nicola Salvagnin