A Verona la diocesi eugubina era rappresentata, oltre che dal vescovo mons. Mario Ceccobelli, dall’emerito mons. Pietro Bottaccioli e da don Mirko Orsini, anche da Leonardo Tosti ed Anna Biraschi. A lei abbiamo chiesto una testimonianza. ‘Quanti, come me, hanno avuto la fortuna e direi il privilegio di partecipare all’evento, l’hanno vissuto con un grande senso di responsabilità e con un’intensità che si percepiva in ogni momento: dalla messa nelle varie chiese di Verona alla preghiera in aula con l’ascolto della Parola e la riflessione spirituale, alle relazioni, ai lavori di gruppo, ai momenti conviviali, ai discorsi nei vari intervalli. L’interesse di ognuno andava ben oltre l’ambito in cui era direttamente coinvolto anche perché tutte le tematiche (affettività, fragilità, lavoro – festa, tradizione, cittadinanza) si intersecavano per loro natura in una sintesi esistenziale, personale e comunitaria. Personalmente ho partecipato ai lavori di gruppo nell’ambito della cittadinanza ed ho potuto rilevare un forte interesse nell’ascoltare le riflessioni, le esperienze, le proposte di tutti con una particolare attenzione per la voce dei giovani che nel loro insieme erano forse troppo pochi. Sono emerse, come è ben comprensibile, una gran quantità di questioni: la necessità di non privare le giovani generazioni del proprio futuro, l’attenzione per gli immigrati, alcuni dei quali hanno partecipato attivamente al Convegno (nel mio gruppo c’erano un indiano e un giovane congolese, studente a Roma). Si è soprattutto sottolineata la necessità di una formazione spirituale e culturale che costituiscano la base e la motivazione di un impegno politico serio e capace di recuperare la profezia, un impegno la cui esigenza, nonostante tutto, sembra riemergere con forza accanto al volontariato e all’impegno civile e sociale in tutti i settori. Nelle sintesi finali dei lavori di gruppo si è percepita una forte consonanza nell’individuare priorità e proposte: la formazione, l’educazione delle giovani generazioni, la famiglia, l’impegno per la vita in tutte le sue fasi ed in tutti i suoi aspetti, l’attenzione a tutte le forme di fragilità, l’importanza delle relazioni, l’impegno e il contributo per una sempre maggiore umanizzazione della società. Tutto ciò, si è detto, la Chiesa dovrà cercare di recuperare nella pastorale ordinaria dei prossimi dieci anni e non tanto con la creazione di nuovi organismi e strutture. Se, pur nella diversità delle situazioni concrete di vita e di impegno, è cresciuta negli anni questa comune sensibilità diffusa per quelle che sono le priorità da affrontare, anche questo non può che essere motivo di speranza. Ho sentito affermare da alcuni preti e anche da vescovi di avere incontrato ed ascoltato nei gruppi un laicato maturo. Si percepiva in effetti una forte spiritualità nello stile, unita ad una grande concretezza nella volontà di dare, attraverso esperienze, analisi, proposte scaturite dal proprio vissuto un contributo fattivo alla vita della Chiesa e della società perché, come ha ribadito con forza Benedetto XVI nel suo denso discorso, fede e ragione non possono che camminare insieme nella comune ricerca della verità sull’uomo e sull’ordine delle cose. La speranza, del resto, se è vera speranza cristiana, non può che riguardare ed illuminare tutte le realtà, le situazioni, le condizioni in cui l’uomo vive e soprattutto quelle di maggiore fragilità’.