Il metro per misurare il livello generale della nostra rassegnazione alla guerra è l’informazione che sui conflitti internazionali ormai indulge quasi esclusivamente sulla comparazione delle potenze di fuoco, sugli approvvigionamenti di armi e sistemi di armi delle forze in campo, sul numero del personale militare e sulle strategie di fuoco adottate. Soprattutto rispetto al conflitto in terra di Ucraina non vi è più notizia di tentativi di mediazione e di negoziati in corso ma solo della richiesta di munizioni e armamenti da parte del governo ucraino.
Peraltro invece tutti gli esperti concordano nell’affermare che in quel conflitto non vi potrà essere possibilità di soluzione per via militare e che sarebbe una tremenda illusione anche solo immaginarlo. È il buon senso, allora, a suggerire la tragica domanda sul perché di tanti morti, del pianto dei familiari dei soldati, dei mutilati a vita nel corpo e nell’anima, delle case, delle aziende e delle infrastrutture distrutte che bisognerà ricostruire, delle risorse impegnate nello spreco di uno sforzo tanto grande quanto inutile. E scandalosamente dannoso.
Ma ancor di più scoraggia l’appiattimento pressoché unanime nel dare microfono, penna e tastiera solo alla forza della violenza della guerra. Isolata resta la voce di un anziano pontefice che non perde occasione per dare alito alla sete di pace che non sia il risultato illusorio e amaro della violenza.