“Se dovessimo individuare, come Chiesa, una priorità dell’evangelizzazione, essa non potrebbe non includere il sostegno, la formazione e l’accompagnamento della famiglia”. Così si esprimeva il card. Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il clero, al ritiro spirituale dei sacerdoti dell’arcidiocesi di Spoleto-Norcia lo scorso 9 maggio. Riprendendo questo messaggio e ripensando alla Festa della famiglia che abbiamo celebrato a Spoleto domenica 28 aprile, vorrei proporre alcune riflessioni sulla vita familiare ai lettori del settimanale La Voce. Cari sposi, prendetevi cura del vostro volervi bene come marito e moglie: tra le tante cose urgenti, tra le tante sollecitazioni che vi assediano, è necessario custodire qualche tempo, difendere qualche spazio, programmare qualche momento che sia come un rito per celebrare l’amore che vi unisce. Esso, infatti, non si riduce all’emozione di una stagione un po’ euforica, non è solo un’attrazione che il tempo consuma; l’amore sponsale è la vostra vocazione: nel vostro volervi bene potete riconoscere la chiamata del Signore; il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Si tratta di custodire la bellezza del vostro amore e perseverare nella vostra vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove e le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili. Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l’umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. E non manchi la preghiera: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per voi, i vostri figli, i vostri amici, la vostra comunità. Si tratta poi di trovare il tempo per parlare tra di voi con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedervi scusa, rallegrarvi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta.
Abbiate, inoltre, cura di qualche data, distinguetela con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del vostro matrimonio, quella del battesimo dei vostri figli, quella di qualche lutto familiare. E abbiate fiducia nell’incidenza della vostra opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall’impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, capaci di pretendere molto ma refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vostra vocazione a educare è benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Infine, care famiglie, fate del Vangelo la regola fondamentale della vostra famiglia. E fate della vostra famiglia una pagina di Vangelo scritta per il nostro tempo!