Sul finire degli anni ’50 del XX secolo la pontificia università Lateranense aprì dunque il fuoco contro il Pontificio istituto biblico: demonizzò le splendide aperture di quei teologi che, emarginati da Pio XII (1939-1958), prima Papa Giovanni (1958-1963), poi Paolo VI (1963-1978) avrebbero chiamato a Roma come esperti al Concilio. Le palle fischiavano anche sulla mia testa semivuota; di me che, implume ventenne, alla Lateranense fungevo, se non proprio da attendente, almeno da portagalosce del ‘Generale in capo’ Piolanti, impantanato fin dal primo momento in una sanguinosa battaglia ideale perduta in partenza.
Rettore magnifico dell’Università e ordinario di Teologia, la materia più importante – più della Sacra Scrittura! – , nei tre anni dei Corsi riuniti (II, III e IV anno di facoltà) ci ammannì, sempre e soltanto lui, la lettura tradizionale dei capisaldi della fede cristiana: I. Dio Uno e Trino, II. Gesù Cristo, III. la Chiesa, e lo fece così come li aveva illuminati il genio di san Tommaso d’Aquino, ma negò sempre, fino ad arrochirsi la voce, che altre luci potessero accendersi sul Grande Mistero e riconsiderarlo da altre angolazioni. Le lezioni di Piolanti non seguivano nessun testo: occorreva prendere appunti. E per un paio d’anni dovetti farlo io. Lui parlava in latino, visto che ad ascoltarlo eravamo alunni di molte lingue diverse, e io, a casa, cioè nel Seminario Romano che dall’Università era ad un passo, li riordinavo (in latino!), li battevo a macchina con la mia Olivetti lettera 22 e li passavo a una copisteria di via Machiavelli, una traversa di via Merulana.
Alla prossima lezione Piolanti, che pure professava sempre di non leggerli, puntualmente li squalificava, i miei appunti; mendacia illa, così li chiamava: celebri pinzallàcchere. In realtà il focoso monsignore romagnolo cantava spesso sopra le righe. Come quando, per spiegare il peccato originale, prendeva a battersi i fianchi con ambedue le mani, gridando Omnes eramus in lumbis Adae! (“Eravamo tutti nei lombi di Adamo”). A quel punto, di fronte a quella contaminazione fra anatomia patologica e teologia dogmatica, tutti avremmo dovuto alzarci e guadagnare la porta. No, mai nessuno si alzò. E, senza nominarlo, non perdeva occasione per attaccare Papa Giovanni.
Implicitamente, con battutine allusive, poco più che punture di spillo, sui danni del buonismo e la fragile tenuta mentale dei vecchi: Papa Giovanni aveva 80 anni. Ma anche esplicitamente: quando, ad esempio, Roncalli proclamò dottore della Chiesa san Lorenzo da Brindisi, “paglia, paglia!” gridò Piolanti in aula, alludendo alla produzione scritta del santo. “Se lui è stato nominato dottore, io per lo meno voglio essere nominato veterinario!”. Una battuta? No, perché ci fu di molto peggio.