Una delle pagine più note e più belle della Sacra Scrittura apre la Liturgia della Parola di questa III domenica di Quaresima: l’elenco delle 10 Parole (Comandamenti). Dio prende l’iniziativa e pronuncia le Parole indirizzandole alla seconda persona singolare. Egli si rivolge infatti al singolo, fa un discorso personale con ogni essere umano, ma il beneficio che deriva dall’osservanza delle Parole è a favore della comunità. “Io sono il Signore tuo Dio”: questa è di fatto la garanzia della perennità della presenza di Dio nella vita del credente e quindi della comunità!
Tutto è scandito con precisione anche numerica: 10 sono le Parole (34,28) di cui 8 divieti e 2 comandi e 2 le tavole su cui sono scritte (34,1). Non solo i comandi, ma anche i divieti presuppongono il raggiungimento di un alto livello di vita perché il contrario del negativo fa si che il non uccidere vorrà dire far di tutto per salvaguardare la vita; il non nominare il nome di Dio invano, implicherà l’uso del Suo nome per lodarLo; il non pronunciare falsa testimonianza si rifletterà nel parlar bene del prossimo.
Centrale e più dettagliata (nella versione “integrale”) è l’ultima delle Parole che riguardano il rapporto uomo – Dio: l’osservanza del sabato. In essa il privilegio della cessazione dalle attività non riguarda solo gli israeliti, ma si estende anche agli schiavi, al bestiame e agli stranieri che diversamente non godevano del riposo settimanale. Il raggio di interesse è quindi totale: Dio, uomo, natura. Le restanti Parole che riguardano i rapporti degli uomini tra di loro sono espresse in modo conciso e diretto e sono inconfutabilmente applicabili a qualsiasi circostanza comunitaria. Anche se riguardano l’agire umano e potrebbero essere ritenute frutto di ordinarie esigenze per una sana convivenza, in realtà è la motivazione che le rende autorevoli: sono infatti le Parole del Signore. Osservarle vuol dire realizzare ciò per cui si è venuti al mondo. Consideriamo che Gesù le conferma, le eleva ad un livello più profondo (si pensi alla questione del “desiderio”, Mt 5,17-29), le ingloba nel precetto dell’amore ( Mt 22,38) e le completa con l’atto supremo del suo sacrificio che nel Vangelo di Giovanni che ascoltiamo domenica viene da Gesù stesso anticipato. Gesù ha appena compiuto il primo dei segni a Cana, è poi “sceso” a Cafarnao e, secondo l’evangelista Giovanni, “sale” per la prima volta a Gerusalemme (le altre 2 “salite” in 7,10 e 12,12). “Salire” è un verbo liturgico poiché il Salmo 122 dice che verso Gerusalemme “salgono (‘alah) insieme le tribù, le tribù del Signore”, quindi sempre si sale quando si va alla Città santa. L’occasione dell’ascesa a Gerusalemme è la “Pasqua dei Giudei” e il contesto è quello degli inizi dell’attività pubblica di Gesù. Lo scenario che trova Gesù è però deludente: nel cortile del tempio un chiassoso andirivieni di animali e persone fanno perdere di vista la vera finalità del luogo sacro che è la “ricerca” di Dio (cf. Zc 14,21) perché lì Lui vi abita in quanto “il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua dimora” (Sal 132). Ciò che dovrebbe costituire motivo di legame tra Dio e l’uomo, e cioè l’utilizzo degli animali sacrificali per il culto, è divenuto pretesto per creare commercio ed esteriorità. Gesù richiama allora il vero ruolo del Tempio definendolo “casa del Padre mio” restituendo così il significato originale, ovvero il Tempio inteso come luogo dove si rafforza il legame di tipo “affettivo spirituale” – piuttosto che “sacrificale”con il divino. Ecco allora che i discepoli interpretano la reazione violenta di Gesù che rimprovera e scaccia i venditori dal Tempio ricordando il Salmo 69 che afferma “lo zelo per la tua casa mi divorerà”. A questa considerazione dei discepoli subentra la provocazione da parte dei Giudei che non contestano l’agire di Gesù, ma gli chiedono prova di un “segno’” che riveli la Sua autorità. E il segno è la risposta: “distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.
Tale sentenza sembrerebbe mirare alla suggestionabilità degli uditori, ma in realtà l’idea di un tempio escatologico era presente nella tradizione giudaica (Is, Ez, Ag) che anche era consapevole del fatto che il Tempio non è mai stato considerato solo un’opera umana, ma soprattutto divina. Il verbo “edificare” traduce il verbo ebraico (banah) che si rifà all’atto del “creare” di Dio e Dio abita ciò che crea. Tra le opere che Dio crea (oltre al Tempio), all’apice vi è l’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, e in esso vi abita: tanto più nel Corpo del Suo Figlio Gesù che farà risorgere dalla morte dopo tre giorni! Dio ha donato la Legge e con essa ha preparato l’umanità ad accogliere il più grande regalo: il Suo unico Figlio, dal cui corpo crocifisso e solo in esso sperimentiamo “la potenza di Dio e la sapienza di Dio” (1Cor 1,24). In questo tempo “provvidenziale” che è la Quaresima siamo tenuti a meditare questo immenso dono d’amore che è il sacrificio di Cristo. Una santa umbra, Chiara da Montefalco, lo ha fatto il centro della sua meditazione tanto da contenere misteriosamente nel suo cuore i flagelli della Passione di Cristo.
Una preghiera che chiede la sua intercessione recita: “insegnaci a fare del nostro cuore la Dimora del Signore dove possa poggiare la sua Croce, perché la nostra vita sia un Dono per tutti e per la Chiesa”.
PRIMA LETTURA
Dal Libro dell’Esodo 20,1-17
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 18
SECONDA LETTURA
Dalla I Lettera di Paolo ai Corinzi 1,22-25
VANGELO
Dal Vangelo di Giovanni 2,13-25