La Liturgia della Parola della domenica XXIX del TO apre con un brano del libro del Profeta Isaia, nello specifico il quarto Canto del Servo del Signore.
Prima lettura
Questo Canto è strutturato in modo dialogico: una prima parte è il Signore a prendere la parola e, interpellando i re delle nazioni, presenta la missione del suo Servo; nella seconda parte sono le nazioni a replicare riconoscendo le sofferenze del Servo e ammettendo di non essere state in grado di comprenderne il significato salvifico; nella terza parte il Signore esalta il successo del suo Servo. Quest’ultima parte è proprio quella che leggiamo in questa domenica.
Due puntualizzazioni linguistiche ci permettono di apprezzare ancora il ruolo del Servo. Nel descrivere le sofferenze del Servo, la lingua originale presenta la forma al condizionale (’im) marcando così l’attenzione sull’aspetto volontaristico del Servo a sottoporsi al sacrificio.
Infatti leggiamo letteralmente “Se avrà dato la sua vita in espiazione”, dove ‘espiazione’ è reso con un termine (’asham) che rimanda al rito della confessione pubblica delle colpe degli uomini con relativo sacrificio compiuto dal sacerdote in espiazione dei peccati altrui (Lv 5).
Il sacrificio del Servo è quindi a vantaggio della collettività perché è detto di lui che “giustificherà molti e si addosserà le loro iniquità”. Viene quindi constatata la necessità della mediazione del sacerdote e del Servo per la salvezza del popolo.
Seconda lettura
Anche la Lettera agli Ebrei, che stiamo ascoltando queste domeniche, presenta la figura del ‘sommo sacerdote’ costituito per il bene degli uomini (5,1). L’erudito e raffinato Autore della Lettera è infatti sul punto di definire Cristo come ‘sommo sacerdote’, ma un sommo sacerdote la cui origine è particolare avendo egli “attraversato i cieli” e perché non ha adempiuto un rito per conto di altri, ma ha preso parte alla vicenda umana essendo “stato messo alla prova in ogni cosa, escluso il peccato”.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro di Isaia 53,10-11SALMO RESPONSORIALE
Salmo 32SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli Ebrei 4,14-16VANGELO
Dal Vangelo di Marco 10,35-45
La premura dell’Autore è quella di trasmettere la verità sul sacerdozio di Cristo, ovvero, non un sacerdozio separato e distinto dal vissuto degli uomini (Nm 26,62), ma solidale e compartecipe con essi e mediatore a loro vantaggio.
Vangelo
Così Gesù nel Vangelo. Questo il contesto. Gesù ha appena riferito il terzo annuncio della Passione (in modo più completo delle due precedenti volte) nel mentre si sta dirigendo con i discepoli verso Gerusalemme. Come nelle due precedenti occasioni, anche in questa il riscontro è negativo.
Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù che faccia per loro quello che desiderano. Ancora una volta Gesù risponde con una domanda che è la stessa che poi rivolgerà al cieco Bartimeo: “Cosa volete che io faccia per voi?”.
Dietro la risposta di Giacomo e Giovanni “concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” si vedono due possibili riferimenti: l’idea di essere al fianco di Gesù nel momento in cui avrebbe ‘sconfitto’ i romani e fondato il regno di Israele (idea messianica auspicata da buona parte degli israeliti) oppure la prospettiva di sedere accanto a Gesù nella vita eterna.
Non si può con certezza definire la giusta posizione, certo è che i due discepoli – nonostante Gesù abbia parlato loro delle sofferenze cui andrà incontro – sembrano trascurare la Passione per essere invece interessati alla gloria.
Come ha fatto le due precedenti volte, anche qui Gesù richiama i due discepoli e propone loro l’immagine del calice e del battesimo. Sempre tenendo conto della tradizione culturale, il calice è una metafora molto ricorrente nell’AT. Esso simboleggia la “rabbia” di Dio (Is 51,17; Ger 25,15) per coloro che non tengono conto della Legge e quindi la punizione che è costretto ad infliggere e la conseguente necessità del popolo di essere sottoposto al rito purificatorio con l’acqua.
C’è quindi l’elemento del sangue (calice) e quello dell’acqua (battesimo), cioè il programma che di lì a poco Gesù vivrà. Quindi non parla di ‘promozioni’ ma di disponibilità alla sequela, comunque! A questo punto compaiono i restanti 10 discepoli indignati per l’atteggiamento presuntuoso dei due, ma per Gesù è un’ulteriore occasione per istruire i discepoli, e con tenerezza e solennità insieme (“li chiamò a sé”) li invita a privilegiare uno stile di vita in cui gli uni siano servi degli altri intendendo con ‘servo’ (diakonos) colui che è preposto alla carità concreta (At 7).
Qui Egli si addita come esempio parlando di sé venuto “per servire e dare la vita in riscatto per molti”. ‘Riscatto’ corrisponde nella lingua greca (lytron) ad un sostantivo usato per indicare la somma che si doveva consegnare per riscattare un uomo divenuto schiavo in conseguenza della guerra o per accumulo di debiti.
Ebbene, Gesù ha dato la sua vita in riscatto degli uomini resi schiavi dal peccato. Dalla figura del Servo, dal ruolo del Sommo sacerdote e dall’esempio di Cristo proviene il messaggio della necessità di una condivisione con tutti gli uomini delle fatiche e sofferenze del cammino di vita. Allo stesso momento constatiamo la gioiosa certezza di poterci appellare a Colui che già ha ‘pagato’ per noi.
È il caso di supplicare con il Salmista: “Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo”.
Giuseppina Bruscolotti