Il Vangelo di questa seconda domenica del tempo Ordinario ci porta ancora sulle rive del Giordano. È trascorso solo un giorno dal suo battesimo e Gesù passa di nuovo. Giovanni lo scorge tra la folla e “fissa lo sguardo” su di lui; un fremito lo percorre tutto, dentro e fuori, ed esclama: “Ecco l’agnello di Dio”. Con tre parole Giovanni raccoglieva tutta la tradizione veterotestamentaria riguardante sia la vittima offerta a Dio per il riscatto dal peccato sia la figura del “servo sofferente” due temi particolarmente cari alla tradizione profetica e agli spiriti più religiosi degli israeliti.
Tra questi ultimi, senza dubbio vi erano anche i due discepoli di cui ci parla il Vangelo, Andrea e Giovanni. Il bisogno di perdono e il desiderio di un mondo nuovo li avevano spinti dalla Galilea sino alle rive del Giordano, lo stesso percorso che aveva fatto Gesù. Giovanni, in certo modo, trasmise ai due discepoli il suo stesso fremito tanto che si staccano da lui per mettersi a seguire il giovane venuto da Nazareth. Del resto, aveva detto loro: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv. 3 30).
E il Battista aveva fatto crescere nel cuore dei discepoli l’amore e la passione per Gesù. Questa deve essere l’ambizione di ogni servizio pastorale e comunque è la costante nella vita spirituale di ciascun credente: all’origine dell’incontro con il Signore c’è sempre una parola che viene prima e che tocca il cuore, c’è sempre una persona che indica e accompagna verso di lui. Non ci si converte da soli, ossia per sforzo autonomo o per iniziativa personale. La conversione, per sua natura, è sempre la risposta ad una chiamata; non è mai la prima parola. Tutta la tradizione biblica lo attesta. Un esempio significativo ci viene presentato nella prima lettura con la chiamata di Samuele. Siamo attorno al 1.030 a.C., quasi esattamente mille anni prima dell’incontro del Giordano.
Anche in questo caso, una parola sta all’origine della vocazione del giovane Samuele. “La lampada dell’arca non si era ancora spenta” – scrive l’autore – e il ragazzo si era addormentato come d’abitudine. Nel mezzo della notte sentì una chiamata e si svegliò; ma non era il vecchio Eli a chiamarlo. La voce insistette e alla fine Samuele, seguendo le indicazioni del vecchio sacerdote, rispose: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. E quella notte uscì dal tempio un giovane trasformato, con un nuovo destino davanti a sé. Per Andrea e Giovanni è il Battista che indica il Signore, colui del quale hanno davvero bisogno e che può dare senso alla loro vita. Si mettono a seguirlo, sebbene a distanza. Non sappiamo se Gesù si accorge subito dei due; certo è che ad un certo punto si volta indietro e chiede loro: “Che cercate?”. Anche qui l’iniziativa parte da Dio.
È Gesù che si volta e “guarda” i due discepoli. Nello stile di Giovanni l’uso del verbo “vedere”, attorno al quale sembra organizzare tutta la scena, sta a significare che i rapporti tra i vari personaggi si realizzano in un contatto diretto, immediato: Giovanni “fissa lo sguardo su Gesù”; poi è Gesù che “si volta e vede” i due discepoli e li invita a “venire e vedrete”, essi gli vanno dietro e “vedono dove abita”, e da ultimo il Maestro “fissa lo sguardo” su Pietro dandogli un nuovo nome, un nuovo destino.
È vero che l’iniziativa viene da Dio, ma nel cuore dei due discepoli non c’è il vuoto, e neppure un tranquillo e avaro appagamento nelle cose di sempre. I due, insomma, non erano restati nella Galilea, nella loro terra o nella loro città, a fare le cose di sempre: avevano nel cuore il desiderio di una vita nuova per loro e per gli altri. E questo desiderio, magari inespresso, si incontra con la domanda di Gesù: “Che cercate?” Ed essi rispondono: “Rabbì, dove abiti?”. Il bisogno di un “maestro” da seguire e di una “casa” ove vivere è il cuore della loro ricerca. Ma è anche una domanda che sale dagli uomini e dalle donne di oggi in modo del tutto particolare: è raro infatti incontrare “maestri” di vita, è difficile trovare chi ti vuol bene davvero, è sempre più frequente invece sentirsi sradicati e senza una comunità vera che accoglie e accompagna. C’è assenza di “padri”, di “madri”, di “maestri”, di punti di riferimento, di modelli di vita.
E se pensiamo ai giovani, con grande tristezza dobbiamo dire che sono come una generazione senza padri e senza madri. Da soli non ci si salva. Tutti abbiamo bisogno di aiuto: Samuele fu aiutato dal sacerdote Eli, Andrea dal Battista e Pietro da suo fratello Andrea. Anche noi abbiamo bisogno di un sacerdote, di un fratello, di una sorella, di qualcuno che ci aiuti e ci accompagni nel nostro itinerario religioso ed umano. Alla richiesta dei due discepoli Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Il giovane profeta di Nazareth non si attarda a spiegare, non ha infatti una ideologia da trasmettere ma una vita da comunicare per questo propone la sua amicizia, l’incontro con lui. I due “andarono e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui, erano circa le quattro del pomeriggio”.
Si trattò senza dubbio di restare nella casa di Gesù; ma quel che contò davvero fu il radicarsi dei due discepoli nella compagnia di Gesù: divennero suoi amici, e la loro vita cambiò. Restare con Gesù non restringe gli orizzonti, al contrario, si è spinti ad uscire fuori dal proprio individualismo, a superare il provincialismo e le proprie grettezze per annunciare a tutti la scoperta affascinante di colui che è infinitamente più grande di noi, il Messia. Una gioia profonda, infatti, investì quei due discepoli: avevano trovato colui che cercavano. Andrea uscì da quella casa, ma non dall’amicizia con Gesù. Vide suo fratello, gli fece sentire la gioia di quell’incontro e lo condusse a sua volta da Gesù. Iniziava in questo modo, vedendo e chiamando, vivendo e amando, la vicenda cristiana: storia di una nuova fraternità. Simone nell’incontro con Gesù, divenne Pietro, ricevette una nuova e inaspettata vocazione. Anche noi, incontrando il Signore, riceviamo la vocazione di essere “pietre vive”, un tassello prezioso, di questa affascinante fraternità che è la comunità cristiana.