“Il tempo di Avvento ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. … Lui è fedele” (Papa Francesco 01.12.’13). Con domenica 3 dicembre inizia infatti il tempo dell’Avvento e il nuovo anno liturgico, Anno B, caratterizzato dall’ascolto del Vangelo secondo Marco.
Quello di Marco è un Vangelo “riscoperto” nel senso che le testimonianze in merito al suo commento integrale non sono anteriori al V secolo, ma dalla maggior parte degli studiosi è ritenuto il primo ad essere stato composto perché Matteo e Luca dimostrano di dipendere da lui per le parti che hanno in comune. Lo stile letterario è intrigante oltre che suggestivo. Solo per citare alcuni elementi, presenta a volte la composizione a “incastro” come l’episodio dell’emorroissa incastonato nel mezzo del racconto della risurrezione della figlia di Giairo o come la narrazione della cacciata dei venditori dal tempio inserito tra la maledizione del fico e la descrizione dei suoi effetti. Oppure, tanto per evidenziare un’altra peculiarità, torna di frequente il n. 3 (3 traversate del lago, 3 scene del Battista, 3 momenti di Gesù nel Getsemani). Centrale è il tema della Pasqua annunciata per l’appunto 3 volte e presagita da Bartimeo, dalla donna di Betania e dal giovane che fugge lasciando il lenzuolo al momento dell’arresto di Gesù (e che alcuni esegeti ritengono identificabile con l’Autore). Le testimonianze in merito all’evangelista Marco ci provengono da Papia e da Clemente i quali ritengono che sia stato “interprete di Pietro” secondo il primo e “segretario di Pietro” secondo l’altro, comunque a fianco del primo degli Apostoli. E sempre del II secolo è la testimonianza di sant’Ireneo che lo identifica con “Giovanni Marco” nominato negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere paoline. L’intento di Marco è quello di rivolgersi sia ai cristiani provenienti dal giudaismo che a quelli provenienti dal paganesimo, e a tutti indistintamente di presentare il Messia il cui titolo viene riconosciuto dai malati e dagli indemoniati, ma taciuto da Gesù stesso (segreto messianico) perché sarà evidente nel momento supremo della Passione, Morte e Risurrezione.
Considerato il messaggio catastrofico del cap. 13, si può ritenere che la stesura di questo Vangelo sia avvenuta tra la persecuzione avviata da Nerone contro i cristiani e la distruzione del tempio (o subito dopo). E proprio dalla conclusione del cap. 13 è tratta la pagina di Vangelo che ci riguarda. È l’ultimo discorso di Gesù prima di avviarsi alla Passione ed è significativa l’ubicazione in cui tutto ciò avviene. Gesù sta lasciando il tempio ed uno dei discepoli, estasiato, lo invita ad ammirare il tempio (“Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”), ma Gesù gli predice che non ne rimarrà “pietra su pietra”. Il versetto successivo informa che Gesù è “seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio” e viene interrogato da 4 apostoli sugli eventi futuri circa il tempio.
Il tempio quindi è motivo di attenzione da parte di Gesù ed è per questo istigato ad annunciare le prove cui saranno sottoposti i cristiani: è la pericope della così detta “piccola apocalisse” che presenta richiami con l’apocalittica del libro di Daniele, anticipa gli episodi della Passione e conferma la continuità con l’Antico Testamento grazie all’uso del titolo “Figlio dell’uomo”. E nonostante il soggetto sia il “Figlio dell’uomo” che giungerà con “grande potenza e gloria”, tuttavia “quel giorno” della venuta solo il Padre lo conosce. Il brano ruota allora intorno al verbo “vigilare” (gregoreo) che è ripetuto 3 volte (34.35.37) e trova riscontro nel racconto dell’agonia nel Getsemani, in occasione della prova suprema di Gesù, e che anche in quella narrazione è riportato 3 volte (14,34.37.38). Tutto è costruito ad arte come anche la struttura concentrica di quest’ultima parte del discorso: parabola (28-29), tempo (30), autorità delle “parole” di Gesù (31, v. centrale), ancora il tempo (32) e di nuovo una parabola (33-37). E questa nuova parabola interpella l’uditore perché prende consapevolezza di essere lui colui a cui il “padrone” ha lasciato di adempiere il suo “compito”, ma nello stesso tempo c’è anche il “portinaio” che vigila perché deve essere pronto ad aprire al padrone e ad avvertire i servi del suo arrivo. Le indicazioni circa l’arrivo del “padrone” sono comunque date: sera, mezzanotte, canto del gallo, mattino. Questi orari corrispondono ai turni dei soldati romani che montavano la guardia di notte, ma alludono anche alle veglie notturne (Sal 90,4; 134,1) che si celebravano nel tempio. Tutto ben predisposto ed organizzato. Così il credente oggi: la Chiesa già gli fornisce i “metodi” e gli “orari” per essere desto. I Sacramenti e la Parola di Dio aiutano ad essere audaci come i soldati e costanti come gli addetti al tempio perché l’Avvento del Signore sia vissuto secondo il significato originario con cui nel mondo antico si indicava l’ Adventus ossia l’“arrivo”, l’imminente “presenza” di un re o della divinità! C’è anche l’altra opportunità che è quella di dedicare una domenica dell’Anno liturgico “all’approfondimento della Sacra Scrittura per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo” (Misericordia et misera 7), iniziativa che coinvolge alcune diocesi in questo tempo dell’Avvento. E Maria ci accompagna in questo cammino: “Santa Maria, Vergine dell’Avvento, stai aspettando la luce, le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto. E sveglieremo insieme l’aurora” (Don Tonino Bello).
PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Isaia 63, 16b-17; 64, 2-7
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 79
SECONDA LETTURA
I Lettera di Paolo ai Corinzi 1, 3-9
VANGELO
Dal Vangelo di Marco 13, 33-37