Il Vangelo di questa III domenica di Avvento mette in luce il dialogo che avviene tra Gesù e il Battista attraverso la mediazione dei discepoli. Giovanni si trova in carcere e invia i suoi seguaci a domandare a Gesù se davvero è lui il Messia che deve venire nel mondo. Da buon pedagogo, il Battista intende congedarsi dai discepoli, consapevole di essere giunto alla sua ultima testimonianza, che avverrà con la morte, per orientarli verso Colui che deve “aumentare” nel loro cuore. Gesù è davvero il Cristo, ma il suo modo di portare il regno di Dio non corrisponde pienamente all’aspettativa umana; le opere di Gesù sconvolgono e spiazzano anche l’ultimo dei profeti.
Forse dentro quella domanda c’è una conferma anche per Giovanni: attendeva la venuta di un giudice terribile, spietato, che avrebbe alzato la scure per dare l’ultimo colpo d’ascia e separare i buoni dai cattivi. Gesù risponde al “più grande dei profeti” con le parole di un altro profeta: “I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella”. Questo ci dice che non è mai prevedibile l’azione di Dio, non è scontata per nessuno; non lo è stata per Giovanni come per la Vergine Maria, che quando non capiva serbava tutto nel suo cuore. La loro grandezza non li dispensò dalle difficoltà e dalle incognite del cammino. “Ma felice chi non si scandalizzerà di lui!”. Quando la Salvezza si avvicina alla creatura, la sorprende sempre, la stupisce, la scomoda. Gesù viene a cambiare le prospettive e a dissolvere le illusioni di santità. Quando tutto è troppo facile e scontato, deve sorgere il dubbio su chi davvero guidi la nostra vita. “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie” (Is 55,8).
L’elemento sorpresa è fondamentale, ci tiene desti, vigili, pronti a cambiare rotta. Nella vita familiare le sorprese sono all’ordine del giorno: nascite, compleanni, traslochi, crescite e cambiamenti sono il nostro pane quotidiano. I figli ci spiazzano sempre, ma soprattutto perché fanno emergere lacune e mancanze. Un giorno nostra figlia Elena ci domandò di aiutarla con un problema di geometria che non voleva proprio tornare. Ci mettemmo al lavoro, ma dopo mezz’ora eravamo ancora al punto di partenza. Spazientita, la bambina disse con un buffo tono di compatimento: “Siete proprio scarsi in geometria, ma come avete fatto a diventare genitori?”. La sua espressione era talmente buffa che scoppiammo in una grande risata, ammettendo, nostro malgrado, la verità di quello che sosteneva. Siamo certamente genitori scarsi in geometria e in molte altre cose, ma non esistono genitori perfetti e neppure famiglie perfette.
Lo Spirito santo, vero “Maestro di vita e di pazienza” viene a dirci: “Coraggio, non temete” il vostro limite, la fragilità e le mancanze. Temete piuttosto l’arroganza, l’autosufficienza, la durezza di cuore. “Si rallegrino il deserto e la terra arida” perché solo chi è assetato avverte il bisogno dell’acqua, e la “sete” è la condizione per essere dissetati. Cristo viene a portarci l’acqua viva! Ogni famiglia diventa ciò che deve essere quando attinge all’acqua della vita per diventare “comunità di accoglienza” dove ci si esercita a “fare spazio”, a lasciarsi scomodare e sorprendere dall’altro che arriva, o che vi si trova già. È proprio dentro la famiglia e dentro la comunità cristiana che s’impara ad amare e ad accettare l’altro per ciò che è, con i suoi limiti, le sue fratture interiori, il suo peccato, ma anche a capire chi sono io, con i miei limiti, le mie fratture, il mio peccato. Allora “le mani fiacche saranno rese forti e le ginocchia vacillanti diventeranno salde” perché quel Dio che “opera tutto in tutti” (1Cor 12,6) si manifesta pienamente proprio nella debolezza, per rendere ciascuna creatura più consapevole di quel dono immeritato e sorprendete che è Cristo.