L’uomo ricco di beni

“Vanità delle vanità: tutto è vanità “, è la nota sentenza con cui Qoèlet inizia e termina il suo discorso redatto nel libro omonimo che in parte ascoltiamo domenica XVIII del TO.

Prima lettura

Nel fare la sua riflessione nei riguardi della vita umana, Qoèlet usa più volte il sostantivo ebraico (hebel) tradotto con ‘vanità’, ma più propriamente il sostantivo vuol dire ‘soffio’, ‘niente’, parole insomma che rimandano all’idea di fragilità dell’esistenza umana.

Nello specifico, ‘vanità’ è ripetuto due volte (sistema con cui in ebraico si costruisce il superlativo assoluto) per dire quindi il massimo grado di delusione che può provenire dal fare affidamento sui beni materiali.

Addirittura l’Autore arriva a far trapelare il messaggio della illusorietà che deriverebbe dalla scienza, dalla ricchezza e dal lavoro e pertanto ad una parziale o superficiale lettura il suo potrebbe sembrare un pensiero di chi invita ad essere rinunciatari nei confronti del vivere quotidiano.

In realtà, Qoèlet con le sue pungenti provocazioni conduce strategicamente l’uomo a prendere consapevolezza che la gioia è il fine ultimo della vita, ma una gioia che non si limita al mangiare e bere o agli sforzi umani, ma è soprattutto dono di Dio e la si possiede veramente se la si vive in Dio.

Salmo

Anche il Salmo 89 (90), l’unico ‘attribuito’ a Mosè, ci propone una preghiera/meditazione sulla fugacità e debolezza della vita umana. Ma anche in questo caso la condizione umana è riscattata dal Signore che sazia gli uomini con il Suo amore e ciò è motivo di gioia per “tutti i giorni” sigillati dalla certezza che Egli dà senso all’opera delle loro mani e la rende “salda” ovvero dagli effetti eterni.

Seconda lettura

Così la Lettera ai Colossesi ci propone un passaggio nel quale Paolo invita i destinatari a considerare il loro modo di relazionarsi con i beni terreni. Ora che hanno abbracciato lo stile di vita evangelico devono infatti rivolgere il loro “pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”.

Ma l’Apostolo specifica ulteriormente di cosa si tratti questa nuova vita in Cristo ed elenca una lista di atteggiamenti che il mondo giudaico attribuiva a quello pagano al vertice dei quali c’è la cupidigia identificata con l’idolatria.

Si, l’attrazione sfrenata per i soldi trasforma quest’ultimi in un vero e proprio idolo e questo è un ‘vestito’ che va assolutamente tolto e sostituito con quello che adorna l’uomo nuovo “ad immagine di Colui che lo ha creato”. Poi Paolo rifacendosi ai gruppi sociali del suo tempo (greci, giudei, barbari, sciti, schiavi, liberi) stravolge le convenzioni culturali, mette tutti sullo stesso piano e addita Cristo la cui opera salvifica ha una risonanza universale in quanto “è tutto in tutti”.

Vangelo

La giusta relazione con i beni di questo mondo continua ad essere trattata anche nella pagina del Vangelo secondo Luca.

La narrazione si apre con il caso di un uomo che interpella Gesù affinché lo aiuti a risolvere il conflitto con il fratello a causa della divisione dell’eredità, ma Gesù rifiuta di assolvere questa funzione di intermediario.

Piuttosto coglie l’occasione per educare in merito al rapporto con la ricchezza e soprattutto consiglia di respingere ogni forma di cupidigia. Il termine greco (pleonexia) tradotto con cupidigia significa anche ‘avidità’ ‘bramosia ardentemente’ ‘avarizia’ e Gesù ne parla con un tono così urgente al fine di aiutare i Suoi uditori a non cadere nel grave errore di ritenere che la vita dipenda dall’ ‘avere’.

La ricchezza di per se stessa non è negativa, perché nell’Antico Testamento è la prerogativa di chi ha incontrato il favore del Signore. Ma Gesù mette in guardia dal pericolo di attaccare il cuore e di fondare la vita su di essa che non è causa di pienezza e soprattutto non agevola la sequela di Cristo che richiede invece un atteggiamento ‘libero’ circa i beni e gli affetti.

Gesù continua poi il Suo insegnamento esponendo la parabola dell’“uomo ricco”. Si tratta di un uomo che ha ottenuto un raccolto così abbondante da non aver posto per depositarlo e quindi intraprende l’azione di espansione dei suoi magazzini.

Beninteso, benché nella Bibbia più volte sono rimproverati quanti si arricchiscono a danno degli altri, qui invece si presenta il caso di un uomo che, grazie alla straordinaria fertilità dei suoi campi, ha ottenuto una quantità di prodotti molto superiore alle sue aspettative. Quindi non c’è frode, e non c’è nemmeno malizia, ma la conclusione di aver ottenuto con questo abbondante raccolto lo scopo della sua vita è in antitesi con quanto Gesù sta proponendo.

Stordito da tanta ricchezza, l’uomo non ha tenuto conto del bene più prezioso: la vita. Si è lasciato prendere dall’illusione che l’agiatezza economica possa dare gioia e sicurezza; si è dimenticato del Signore perché ormai lui si sente un ‘signore’.

E la conclusione cui conduce Gesù non è il disprezzo della ricchezza quanto l’invito ad arricchirsi “presso il Signore”, a fondare cioè la propria ‘sicurezza’ su di Lui che è l’Unico a garantire una vita nella pienezza e non intristita dalla solitudine come risulta essere per l’“uomo ricco”!

Giuseppina Bruscolotti