‘Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio e assistito adeguatamente’: è l’affermazione centrale del documento congiunto firmato dai direttori delle cliniche di ostetricia e ginecologia delle quattro facoltà di Medicina delle Università romane (La Sapienza, Tor Vergata, Cattolica e Campus Biomedico) in occasione della Giornata per la vita del 3 febbraio. Dignità di persona. Quello approvato, precisa Salvino Leone, docente di bioetica all’Università di Palermo, ‘non è un documento dei ginecologi cattolici, ma del mondo accademico che, al di là di appartenenze culturali, politiche o religiose, ha riconosciuto che al feto va attribuita la dignità di persona, titolare come tale di tutte le cure a cui ha diritto ogni essere umano’. Leone esorta dunque ad ‘evitare l’errore di attribuire il documento solo a una parte, sminuendone così la portata’; al contrario, il documento in questione ‘va salutato in modo estremamente positivo, soprattutto perché proviene dal mondo accademico, che recentemente non ha dato gran prova di sé’. Quanto alle polemiche riaccesesi sulla legge 194, il docente definisce ‘ovvio’ e ‘scontato’ che ‘anche i sostenitori della legge riconoscano il diritto dei neonati prematuri estremi ad essere rianimati, già presente peraltro nella 194. Semmai si può discutere sul quando sia opportuno rianimare, fino a quale settimana, con quale tipo di cure’. Eventuali feti ‘sopravvissuti’ ad un aborto vanno rianimati? ‘Anche per loro – risponde Leone – vale il principio della proporzionalità delle cure, in base all’età gestazionale. Ogni decisione va presa caso per caso, evitando l’accanimento terapeutico, ma senza abbandonare il neonato vivo a se stesso’. Applicare la legge. ‘Se si deve stabilire un limite temporale all’aborto terapeutico, esso dev’essere il più prudenziale possibile e così basso da escludere in ogni caso’ che ‘all’orrore dell’aborto venga aggiunto l’orrore di un corpicino gemente’. A chiederlo è il presidente del Movimento per la vita, Carlo Casini, intervenendo nel dibattito sulle cure da prestare a feti sopravvissuti ad un aborto e capaci di vita autonoma. Il Movimento ricorda comunque che in questi casi basta applicare la 194. ‘La prospettiva di una vita gravemente menomata è certamente drammatica, ma almeno, quando l’aborto è volontario, c’è un modo sicuro per evitarla. Una volta tanto – spiega Casini – basta applicare la legge 194 che, su questo punto, frena la sua complessiva ingiustizia. Infatti, l’art. 7 non stabilisce soltanto che, se il feto è espulso vivo dal corpo materno, occorre mettere in atto tutte le cautele necessarie atte a salvaguardarne la vita, ma impone che ‘quando vi è possibilità di vita autonoma’ l’aborto sia ammissibile solo nel caso di pericolo per la vita della madre. Dunque se su un tavolo si trova un esserino gemente a seguito di un’interruzione volontaria di gravidanza, vuol dire che la legge è stata violata e dovrebbe scattare la sanzione di cui all’art. 19′. Garantire le cure. ‘I medici non possono negare le cure nelle condizioni in cui è possibile vi siano probabilità, pur minime, di salvare la vita umana’, si legge in una nota diffusa dall’Associazione medici cattolici italiani di Roma, a firma del suo presidente Franco Splendori. Illustrando le motivazioni dell’impegno dei medici per salvare il feto vitale dopo un aborto, il presidente dei medici cattolici di Roma afferma che ‘tale comportamento risponde anche alla legge 194, che si esprime nell’art. 9 in maniera netta e precisa: l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario a determinare l’interruzione della gravidanza ‘ma non all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento’. Pertanto, chi non ottempera alle procedure di rianimazione di un feto che nasca vivo, indipendentemente da qualunque altra considerazione, disattende i canoni della legge 194. Sempre riguardo alla 194 – prosegue Splendori – ci auguriamo inoltre che le raccomandazioni emanate dal ministro della Salute tengano conto dei progressi delle tecniche rianimatorie’. Pregare per la vita. Una ‘preghiera per la vita nascente’ davanti agli ospedali in cui si praticano gli aborti. A proporla, in occasione della Giornata per la vita, è stata l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che esprime un plauso all’iniziativa dei ginecologi romani. ‘Questa preghiera pubblica – spiega Giovanni Paolo Ramonda, responsabile dell’associazione – è iniziata a Rimini 9 anni fa per volontà di don Oreste Benzi ed è stata portata avanti ininterrottamente’. L’associazione mette a disposizione un numero verde per le ‘maternità difficili’: 800 035 036.