A seguito della recente devastazione di una cinquantina di tombe ebraiche nel cimitero del Verano di Roma si è accentuato il disagio degli ebrei italiani di fronte ad una recrudescenza e ad una maggiore diffusione di atteggiamenti antisemiti. Amos Luzzatto ha ritenuto di trovare una connessione con la data in cui il fatto è avvenuto, il nove del mese di Av in cui gli ebrei fanno memoria della distruzione del tempio. La cronaca di questi giorni informa che l’autore o gli autori dell’odioso e sacrilego atto vandalico di Roma possano essere sinistri personaggi appartenenti ad ambienti di ordinaria delinquenza. Ma anche se questa pista di indagine venisse confermata non sembra che possa costituire una spiegazione tale da escludere la fondatezza di un sentimento di preoccupazione. Questo nasce, infatti, da tutta una serie di segnali che si possono rintracciare in diversi tempi e luoghi in Europa, tra gente che non ha alcun coinvolgimento con questioni ebraiche né una forte presenza di ebrei. Se si pensa che nella stessa Italia gli ebrei sono appena circa trenta quaranta mila.
Vi sono autori di articoli e di libri che parlano di un antisemitismo globale, di antisemitismo mai morto in Europa, o come suona il titolo del libro di Fiamma Nirenstein: L’abbandono, come gli occidentali hanno tradito gli ebrei (Rizzoli 2002), l’articolo “Sull’antisemitismo di Oriana Fallaci del 18 aprile 2002 e il più recente di Adriano Sofri su Repubblica “Quando torna lo spettro antisemita” (22 luglio scorso). E’ un dato di fatto che profanazioni di tombe si sono verificate in Francia e Austria, sono comparse e non da oggi scritte sui muri, slogan antiebraici negli stadi, sono state compiute aggressioni e incursioni contro comunità ebraiche, anche contro ragazzi ebrei che giocavano al calcio, sempre in Francia.
La domanda che ci si pone è perché? Gli stessi ebrei se la sono posta: Perché ci odiano tanto? A parte l’imprecisione della parola “antisemitismo” che non rende ragione di ciò che veramente vuol significare e che sarebbe bene chiamare “antigiudaismo”, in quanto i semiti sono anche altri popoli e non solo gli ebrei, molti si chiedono quale sia la ragione e il fondamento di un atteggiamento, che pur presentando connotazioni diverse, permane lungo il tempo in società e in contesti culturali molto diversi tra loro. Per l’antigiudaismo storico sono state illustrate le ragioni che l’hanno originato e nutrito: dall’odio dei romani alla conflittualità tra Chiesa e Sinagoga, con il crescente disprezzo teologico da parte dei cristiani. Queste ragioni non esistono più. A parte la difesa degli ebrei fatta da Pio XI che in pieno clima antiebraico di stampo nazista dichiarò: “Siamo tutti spiritualmente dei semiti” (1937), si deve ricordare che le Chiese cristiane (protestanti e cattoliche) fin dal 1947, appena finita la guerra e conosciuta la terribile tragedia della Shoà sentirono il bisogno di stendere i famosi dieci punti di Seelisberg che gettano le basi di un corretto rapporto tra cristiani ed ebrei. Su quella base da cinquant’anni a questa parte i cristiani e in particolar modo i cattolici non hanno fatto altro che ripensare il loro rapporto con gli ebrei, riconoscendo le colpe passate e avviando un proficuo e corrisposto dialogo.
Abbiamo tutti ancora negli occhi la sublime scena del Papa al muro del pianto in Gerusalemme. Chi fosse ancora allo scuro di questo può almeno prendersi la briga di andarsi a leggere la Dichiarazione sulle religioni non cristiane del Concilio Vaticano II, Nostra aetate (1965), al n. 4). Non ha neppure alcun fondamento l’antisemitismo biologico razziale e neppure quello di origine ideologica, dato il crollo delle ideologie che lo avevano formulato. La stessa presunta accusa di un complotto contro l’umanità del famoso quanto falso e famigerato “Protocollo dei Savi di Sion” che ancora qualcuno tenta di diffondere. Tutto questo del resto appartiene alla cultura di un passato che non ha grande diffusione e non suscita interesse nelle attuali generazioni piuttosto bloccate sul presente storico conosciuto attraverso i mass-media. Certo, si può osservare che i pregiudizi stentano a lasciarsi cancellare del tutto e rischiano di sedimentarsi nel profondo della coscienza collettiva di popoli o di minoranze pronti a riportarsi strumentalmente a galla in momenti storici particolari.
Per evitare che ciò accada o che penetri in larghe masse è necessaria una seria vigilanza culturale ed un impegno educativo che sia aperto alla comprensione delle culture e delle religioni a cominciare proprio da quella ebraica che è la madre della nostra cultura cristiana. E per quanto riguarda la rinascita di forme di antisemitismo non resta che riferirsi alla questione palestinese. Forse è proprio da quel groviglio di problemi, interessi, incomprensioni, tensioni e violenze che nasce una divisione di valutazioni e di giudizi e quindi di risentimenti che portano alla contrapposizione e quindi all’antislamismo da una parte e all’antisemitismo dall’altra. La lotta che si svolge in Palestina produce contraccolpi nel resto del mondo. E tutto ciò va oltre l’antisemitismo come era compreso nel passato. Non per nulla alcuni musulmani accusati di diffondere odio antiebraico hanno più volte dichiarato di non essere antigiudei, ma antisionisti e di combattere la politica del governo israeliano.
Le frange di antigiudaismo italiano e europeo, che comunque ritengo sia ancora limitato e non abbia pervaso le masse, sarebbe pertanto un grande equivoco nel quale viene mescolato il dissenso per la politica del governo israeliano, la difesa del popolo palestinese considerato alla mercè della potenza economica e militare israeliana, la questione dei territori occupati a seguito della guerra dei sei giorni, e quindi confusione tra ebrei tout court con israeliani, le scelte del governo come scelte culturali e religiose. Questo equivoco dovrebbe essere chiarito ed eliminato. Mentre ognuno ha diritto di avere opinioni politiche e criticare quindi le scelte di un governo o dell’altro, nessuno deve cadere nella trappola del razzismo e condannare un popolo intero. Per questo è necessario anche che si eviti di commistione fatta da esponenti del partito conservatore israeliano di elementi biblici nelle scelte di politica territoriale. Se è la reazione antiisraeliana che coinvolge il popolo ebraico nella sua interezza ed è cosa impropria oltre che ingiusta si deve pur richiamare ad essere tutti, israeliani compresi, più accorti nel distinguere bene i campi.
A meno che tale distinzione non sia ancora ben maturata in alcune componenti della politica israeliana. In un recente incontro un francescano della Terra Santa, studioso delle questione palestinese e protagonista nella vicenda dell’occupazione della Basilica di Betlemme, ha affermato che la questione palestinese per avere qualche possibilità di soluzione ha bisogno di essere trattata in un piano di laicità. Il pericolo viene da due contrapposte teocrazie, qualora avessero il sopravvento. Da ciò si può supporre e sperare che se vi sarà la pace in Palestina quel paventato “spettro” dell’antisemitismo cesserà di vagare per l’Europa.