Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è la vostra Guida, il Cristo”, proclamiamo con il Canto al Vangelo anticipando e confermando insieme il messaggio della Parola di Dio di questa 31ma Domenica che ha appunto come finalità la riflessione in merito alla missione di “guida” che i credenti sono chiamati a vivere. Il brano evangelico coincide con la prima parte del capitolo 23, capitolo che fa percepire le difficoltà relazionali all’interno del cristianesimo nascente tra giudei rimasti tali e i giudei convertiti alla sequela di Gesù. Il capitolo è infatti caratterizzato per lo più (23,13-32) dai “guai” che Gesù indirizza agli “scribi e ai farisei” rivelando così un tono polemico nei riguardi di questi capi religiosi. Nello specifico del brano che ci riguarda questa domenica (23,1-12), Gesù ha appena ammutolito farisei, sadducei ed erodiani ed ora si rivolge “alla folla e ai suoi discepoli”, ma lo spunto da cui avvia il suo discorso è appunto la figura degli scribi e dei farisei. “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei” esordisce Gesù rifacendosi all’autorità che ritenevano di avere perché tramandata loro da Mosè e con cui queste due categorie esercitavano il loro insegnamento stando posizionati su seggi dai quali presiedevano le loro assemblee. E Gesù riconosce il loro importante ruolo perché esorta i suoi uditori a “fare” e a “osservare” quanto insegnano perché di fatto propongono le parole di Mosè. “Osservare” (gr. teréo) è lo stesso verbo che Gesù userà dopo la risurrezione per invitare gli Undici a proporre l’osservanza da parte delle “genti” degli insegnamenti di Gesù. A questo punto Gesù elenca alcuni atteggiamenti che evidenziano l’incoerenza tra il “dire” e il “fare” degli scribi e dei farisei. Intanto: “Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. “Fardello” deriverebbe dall’arabo fard, parola che indicava l’involto “pesante” che si poneva sulla schiena del cammello. Qui si riferisce all’attività interpretativa degli scribi che, per garantire la scrupolosa osservanza della Torah, l’avevano di fatto “appesantita” con numerose e minuziose prescrizioni che imponevano ai discepoli, ma che loro riuscivano ad evitare grazie all’acribia argomentativa svolta a loro favore. “Tutte le loro opere le fanno per essere visti dagli uomini: allargano, infatti i loro filatteri e allungano le frange”. I filatteri (tefillim) sono piccoli contenitori di brani biblici pergamenati che, in virtù di Dt 6,8, vengono legati sulla fronte e sul braccio durante la preghiera e significanti la fede nel Dio unico che deve coinvolgere tutte le facoltà umane. Le frange (zizit) sono sfilacciature che si applicano ai 4 angoli dello scialle e sono fornite di un cordoncino di porpora viola e, vedendo queste frange, gli israeliti si ricorderanno di “tutti i precetti del Signore”(Nm 15,39). Quest’ultimo paramento è stato da Gesù stesso indossato (Mt 9,20; 14,36) e infatti, ciò che Lui critica, non è il suo utilizzo quanto l’ostentazione che si dimostra con l’ingigantire i suoi dettagli. La ricerca dell’esteriorità è ancora polemizzata quando Gesù mette in risalto la sete di protagonismo nello scegliere “posti d’onore nei banchetti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze”. Soprattutto Gesù si dilunga nel convincere dell’inopportunità di chiamare qualcuno “rabbi”. Il titolo ebraico rab vuol dire “grande”. Dall’uso che gli evangelisti ne fanno, si deduce che già al tempo di Gesù rab veniva attribuito ai maestri autorevoli, anche se gli apostoli nel riferirsi a Gesù lo chiamano con il titolo di “Signore” (ad eccezione di Giuda che lo chiama “rabbi”) e con ciò Matteo vuol trasmettere l’idea della superiorità di Gesù sui capi religiosi del suo popolo. E tuttavia Gesù suggerisce di non attribuire a nessuno i titoli di ‘rabbi’, di ‘padre’ e di ‘guida’ perché “una sola è la vostra guida, il Messia”. In definitiva, Gesù non declassa la dottrina degli scribi e dei farisei che anzi proviene da Mosè e come tale va “praticata” e “ascoltata”, ma contesta l’incoerenza tra l’insegnamento e il comportamento. Anche nella I Lettura tramite Malachia il Signore usa parole di rimprovero nei riguardi delle guide che sono state “d’inciampo a molti” ottenendo solo disistima da parte del popolo. E tornando al brano evangelico, consideriamo che per diverso tempo gli ebrei e i seguaci di Cristo hanno convissuto pregando negli stessi luoghi e leggendo la stessa Sacra Scrittura. Gesù pertanto mette in guardia i cristiani “nascenti” dal lasciarsi condizionare dalla suggestione di una religiosità solo esteriore finalizzata all’esaltazione di sé, e li incoraggia piuttosto ad un servizio umile che dia risalto agli altri. La “guida” giusta è quindi quella caratterizzata dall’amore e dalla gratuità così come si evince dalla I lettera di Paolo alla comunità di Tessalonica i cui membri hanno invece stima dei loro maestri perché sono stati “amorevoli come una madre”, “affezionati” al punto da essere disposti a dare la vita. Così oggi nella Chiesa: “Quanti hanno la missione di guide sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager, ma quella del servo, a imitazione di Gesù che, spogliando se stesso, ci ha salvati con la sua misericordia” (Papa Francesco 26.05.’15).
PRIMA LETTURA
Dal libro di Malachia 1, 14b – 2,2b. 8-10
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 130
SECONDA LETTURA
I lettera ai Tessalonicesi 2, 7b – 9.13
VANGELO
Dal Vangelo di Matteo 23, 1-12