“Un miracolo”: così don Elio Bromuri ha definito il decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, di cui si celebravano i 50 anni di promulgazione il 21 novembre. “Un miracolo” perché? Perché fino a quel momento – ha spiegato – “la Chiesa cattolica aveva resistito a tutti gli inviti a partecipare al movimento ecumenico”. L’Unitatis redintegratio è stata al centro di una tavola rotonda organizzata il 24 novembre al Centro ecumenico di Perugia, animata dai membri del Consiglio delle Chiese cristiane (Ccc) di Perugia, varato un anno fa; moderatore, il presidente del Ccc, il teologo valdese Ermanno Genre. Quest’ultimo ha raccontato con soddisfazione che, dopo aver trascorso una ventina di anni della sua esistenza come “eretico e scomunicato” (dal punto di vista cattolico), vive ormai da mezzo secolo come “fratello”, seppure “separato”. Il Concilio – ha aggiunto – ha aperto “una nuova, inedita pagina di relazioni proficue a tutto campo”.
Ampio e articolato l’intervento del card. Gualtiero Bassetti, che è anche membro del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani; lo riportiamo integralmente nella pagina qui accanto. In sintesi, il Vescovo di Perugia ha esordito ricordando – sulla scia di Papa Francesco – l’“ecumenismo del sangue” che oggi accomuna tutte le Chiese cristiane; così come la mutata “geografia mondiale della cristianità”. Tutti fenomeni che “ci costringono a interrogarci sul dialogo ecumenico” in modo nuovo. “Non si può tornare indietro! – ha aggiunto. – E troppi cattolici lo hanno fatto, cercando rifugio nella tradizione, o meglio, in un tradizionalismo non vitale, inteso come una specie di stampella”.
Padre Ionut Radu, responsabile della comunità ortodossa romena di Perugia, ha ricordato che il 21 novembre 1964 il Vaticano II approvò non solo Unitatis redintegratio e Lumen gentium, ma anche il decreto sulle Chiese cattoliche orientali. Unitatis redintegratio è stato discusso ai massimi livelli delle Chiese ortodosse; ma vi è anche un “livello locale, pratico, che è anche più profondo, e in cui si sente un forte desiderio di unità attorno a Cristo. Occorre un rinnovamento interiore”. Ha poi citato una graziosa leggenda: quando Cristo ascese al Cielo, l’angelo Michele gli chiese che cosa fossero quelle fioche fiammelle che si intravedevano a Gerusalemme. Cristo ripose: “Sono i miei apostoli; dovranno incendiare il mondo intero”. “E se non ci riescono?”. “Non ho un piano alternativo”.
Qualche passo ancora da compiere in campo ecumenico è stato suggerito dal pastore valdese Pawel Gajewski, di origini polacche e con ampie esperienze europee. “Anche solo in questi ultimi 15 anni – ha detto – tanti sono stati i frutti del dialogo: a livello mondiale, ad esempio, con la Dichiarazione congiunta di cattolici e luterani sulla giustificazione; a livello europeo, con la Charta oecumenica; a livello italiano, con l’accordo cattolico-valdese sui matrimoni misti, di cui hanno beneficato tante persone che conosco”. Restano tuttavia dei punti su cui sarebbe importante portare avanti la riflessione, come il significato di “cattolicità” – in cui credono anche i protestanti – o del ministero: è più importante l’episcopus (vescovo) o la episkopè, il dono della “supervisione” esercitato non da uno solo ma dal consiglio degli Anziani? Entro il 2017, anniversario della Riforma, ha auspicato una “conversione pastorale” in tema di eucaristia, senza appiattire la dottrina, ma prestando più attenzione all’ospitalità reciproca.