Unità d’Italia Patto tra generazioni

Editoriale

Era il 1961 quando, insieme ad un gruppo di giovani seminaristi, andammo a Torino a vedere una mostra dedicata al centenario dell’Unità d’Italia, con particolare riferimento alla prima riunione del Parlamento italiano. Oggi nel 150° mi sembra che non sia necessario andare a Torino, ma è festa dappertutto e dovunque vi sono manifestazioni “patriottiche”, folkloristiche, culturali, popolari con spettacoli e bande musicali. Il Parlamento ha emanato per questo anniversario una legge apposita. Si ha l’impressione che l’enfasi posta su questa data sia proprio “datata”, dal momento che si è ventilata e proposta la secessione del Nord dal resto d’Italia. Viene da pensare che accade come per la salute: ci si preoccupa quando si rischia che venga a mancare. Un’altra impressione è che i festeggiamenti siano più folkloristici nelle regioni che facevano parte dello Stato Pontificio. Non tanto da parte della gente, quanto delle istituzioni o associazioni che prendono l’occasione per esaltare la propria storica “laicità”. La celebrazione dell’Unità dovrebbe essere un momento altamente e sinceramente unitario, sulla base di scelte fondamentali condivise da tutti o almeno da grandi maggioranze. Allora la celebrazione ha senso e funziona. Non sto ad indicare le divisioni esistenti nel nostro Paese, frammentato e conflittuale. Ne ha parlato indirettamente il card. Bagnasco nella sua lezione universitaria a Perugia quando ha descritto un popolo composto non da “persone” con solida formazione, ma da “individui” guidati dal solo desiderio della libertà senza limiti. In questo caso, ha affermato, “la società che ne consegue sarà tendenzialmente frammentata e insicura, e diventerà progressivamente paurosa e aggressiva, ripiegata e autoreferenziale, dove il prendersi in carico gli uni gli altri nella quotidianità dei giorni e degli anni sarà visto come un insopportabile attentato alla libertà individuale”. In una società di questo tipo, ha ancora precisato il cardinale, “si annida smarrimento e paura e quindi fragilità, e un terreno friabile dove più facilmente prosperano la furbizia e il raggiro, l’affare e la sete di dominio”. Un senso potrebbe averlo, pertanto, la celebrazione dell’Unità, lasciando da parte antiche questioni e diatribe o rivendicazioni e prendendo acuta coscienza della insopportabile situazione della politica e della società civile italiana, percependo l’urgenza educativa e progettuale in ambito anche economico e sociale. Questo, per uno sviluppo dell’Italia che non sia serva di se stessa, dei suoi vezzi e delle sue idiosincrasie, come quando si dice fare le cose ”all’italiana” per dire che si fanno in modo approssimativo. Un’Italia unita attraverso una forte alleanza tra le generazioni, evitando che si allarghi la forbice tra i vecchi sempre più vecchi e i giovani sempre meno maturi per affrontare la vita. I giovani non possono essere consegnati al mercato dell’effimero e del trasgressivo, sostenuto dai potenti e pervasivi strumenti mediatici. Per ultimo, la celebrazione un senso può averlo se, guardando al passato, si riescono a spostare i termini della storia oltre i 150 anni: l’Italia c’era anche prima e non da poco.

AUTORE: Elio Bromuri