“Unità di consacrazione e missione nell’identità e nella formazione del ministro ordinato” è il tema che ha svolto mons. dal Covolo, rettore magnifico della Pontificia università lateranense, al ritiro spirituale mensile del clero della diocesi di Orvieto-Todi.
Il presule con la sua ampia e articolata relazione ha proposto una intensa riflessione sul binomio consacrazione e missione che deve caratterizzare l’identità e la formazione del ministro ordinato ed ha passato in rassegna l’esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis (Pdv), la Presbyterorum Ordinis (PO), il pensiero di Agostino e quello di Ignazio di Antiochia e di Giovanni Crisostomo della “scuola antiochena”.
Riferendosi alla Pdv, mons. dal Covolo ha sottolineato che “la missione non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è per la missione. In questo modo, non solo la consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore. Così è stato di Gesù. Così è stato degli apostoli e dei loro successori. Così è dell’intera Chiesa, e in essa dei presbiteri: tutti ricevono lo Spirito come dono e appello di santificazione all’interno e attraverso il compimento della missione”. Conviene ricordare – ha spiegato – che Pdv dipende direttamente dal magistero del Concilio Vaticano II (e non poteva essere diversamente). Si pensi, in particolare, al n. 13 di PO, dove si legge: “I presbiteri raggiungeranno la santità”, vale a dire il traguardo vero della consacrazione presbiterale, “se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni”, vale a dire la loro missione, “con impegno sincero e instancabile”. Il sacerdote non si salva da solo… La sua consacrazione a Cristo non può rimanere fine a se stessa. A sua volta, dietro il Vaticano II sta un’ininterrotta tradizione patristica, che non si stanca di predicare questa sintesi vitale tra consacrazione e missione nell’identità e nella formazione del ministro ordinato.
Per fare un esempio illustre, mons. dal Covolo ha citato la massima lapidaria di sant’Agostino, che si trova al termine del suo Commento al Vangelo di Giovanni: Sit amoris officium pascere Dominicum gregem, ammonisce con vigore il vescovo di Ippona (“Sia un dovere dell’amore pascere il gregge di Cristo”: 123,5). L’amore per Cristo, la configurazione a lui – insomma, la consacrazione del presbitero – trovano la loro conseguenza necessaria e coerente nell’esercizio della missione pastorale.
Il presule ha poi fatto riferimento per l’Oriente alla scuola antiochena, da Ignazio a Giovanni Crisostomo, e per quella occidentale al Discorso sui Pastori di sant’Agostino.
In tutti e due i Padri antiocheni si può rilevare una forte sottolineatura sulla necessaria unità dei presbiteri con Cristo e dedizione totale al gregge.
Sant’Agostino dal suo canto riporta sul sacerdozio ordinato la stessa dottrina del Crisostomo, ma con maggiore insistenza. È una dottrina che può essere efficacemente riassunta nella sentenza che abbiamo riportato: Sit amoris officium pascere Dominicum gregem. Queste parole, citate dal Concilio in PO 14, vennero riprese anche dal servo di Dio Paolo VI nel suo primo messaggio al mondo, il 22 giugno 1963: di fatto, esse intendevano esprimere il programma del suo pontificato.